ETDS 2024, 11 EDIZIONE: MEMORABILE. #ditantointango

Ci sono eventi di tango che fanno letteralmente rifiorire, uno di questi è, senza dubbio alcuno, quello organizzato da SpaziotangoBologna, il primo weekend di aprile. Non per nulla, nel primo farsi di primavera.

Ho felicemente perso il conto del numero di edizioni alle quali ho partecipato ma posso, con sicurezza affermare che, il crescendo di divertimento tanguero, aumenta di edizione in edizione.

Tenere l’asticella sempre alta, scollinare tutti i periodi terribili che stiamo attraversando, la concorrenza spietata, rende ETDS una perla nel panorama italiano. A mio modesto parere, ovviamente.

Sono sempre più convinta che la formula “corta” sia quella vincente: una pomeridiana, una serale, una pomeridiana, poi tutti a casa. Ho la sensazione che l’energia tanguera esploda più intensamente, perchè il tempo è tiranno e la fame di abbracci si fa più intensa. Quest’anno le scorribande sono iniziate il giorno prima, la sera del venerdì, per dare la possibilità a più persone di godersi la festa: si sono presentate in 250 un numero incredibile e inaspettato che la dice lunga sull’ottima reputazione mediatica che ETDS mantiene da anni, da 11 anni per essere precisi.

La formula dell’evento all’interno del complesso alberghiero è, per me, la preferita. La mente si libera, consapevole che, in ogni momento, si possono lasciare i giochi, salire in camera, restarci o scendere nuovamente. Per me, il top della comodità.

Un altro aspetto rilevante a Etds è che non si iscrivono i gruppi di quelli che stanno solo tra di loro, ballano solo tra loro, esistono solo loro. Si sta insieme, si balla tutti con tutti, modalità easy way, senza stress, senza ansia da prestazione. Certo che ci sono le varie “delegazioni” di diverse provenienze ma il bello è che, una volta arrivate sulla pista, si dissolvono mescolandosi con tutti gli altri.

Questo è stato l’anno delle TJ donne, a parte l’apertura del venerdì a firma di Zizzu che ha fatto il botto di pubblico.

Ognuna delle Signore della consolle ha offerto la sua personalissima visione e proposta musicale: la prima pomeridiana dai toni soft, calibrati e senza eccessi, tj Iskra Strateva, per passare alla serale carica di pathos, tj Valeria Norcia, di colori e di vibrazioni emozionanti, per finire con l’ultima pomeridiana elettrizzante, adrenalinica, dall’effetto dopaminergico, tj Caterina Inglese.

C’è stato un momento in cui mi sono sentita una pazza furiosa, già indossati gli abiti borghesi e le sneaker e pronta a partire, ho abbrancato un ballerino e così come stavo mi sono gustata la mia “ultima tanda”. Completamente invasata!

Da partecipante non posso che augurarmi che questa meravigliosa e accogliente festa, continui a renderci così tanto felici, soddisfatti e appagati ancora per molti anni.

Un ringraziamento speciale a Simona, a tutto il direttivo e al numeroso staff per un’edizione che resterà nella memoria!

Pimpra

EVOLUZIONE, CRESCITA E POSIZIONAMENTO. LA COPPIA GALDI – TARANTINO segna il passo nel nuovo decennio. #ditantointango

Nel tango, come nella vita, si guarda avanti o, meglio, si osserva ciò che accade intorno. Nel tango, come nella vita, ci sono i periodi, le ere, i tempi che sono segnati – scritti, tradotti, interpretati, da qualcosa e da qualcuno.

Ricordo molto bene le prime volte che i miei occhi sono stati catturati da questa coppia che al tempo ancora non ballava insieme. Gianpiero si esibiva con Maria, un’artista assoluta del tango, lui un ballerino “umanamente”, mi si passi la definizione, ancora acerbo – leggi molto giovane, ma un fenomeno di tecnica e musicalità.

Lorena ha catturato e attratto il mio sguardo quando ancora muoveva i suoi passi all’interno di un gruppo di giovani tangueros che sono diventati a loro volta talentuosissimi del tango. Lorena aveva movimenti, appoggi tutti suoi, un’eleganza innata, forgiata dagli studi di classica e “quel certo non so che” che la faceva notare. Almeno io, l’ho sempre notata.

Poi il destino, il caso, o non so che, ha fatto sì che i due si incontrassero ed iniziassero a ballare insieme.

Sono trascorsi pochi anni, poco più di un lustro, oserei dire, e la coppia ha trovato la quadra perfetta mettendo in esaltazione le specifiche caratteristiche individuali.

Anno dopo anno, il loro tango ha preso una dimensione e una forma uniche, assolutamente riconoscibili nel panorama mondiale della specialità.

C’è qualcosa di estremamente moderno e al contempo antico, leggi “tradizionale” nel rispetto che si deve alla disciplina, nell’espressione dei loro movimenti che si sono fatti vieppiù personali, densi, carichi di un significato di arte a livello alto.

A volte, mentre li osservo danzare, penso a quale magia riesce a fare Lorena, leggendo l’insaziabile creatività di Gianpiero, assorbendone gli impulsi e rilasciando la sua leggiadra e femminilissima lettura.

C’è un dialogo silenzioso ed empatico nei loro corpi che disegna variazioni moderne sulle basi tradizionali, arricchendole di espressività e complessità che fluiscono naturali, innovative e molto spesso assolutamente sperimentali.

Questo decennio, iniziato monco a causa della pandemia, si sta finalmente espandendo artisticamente, anche grazie a questa coppia di giovani talenti che sta letteralmente scrivendo il tango “nuovo” o, se preferite, il “nuovo” tango che le generazioni della loro età inizieranno a ballare.

Avete una grande responsabilità che, sono certa, saprete gestire al meglio.

BUON TANGO!

Pimpra

PS: questo post, ovviamente, esprime il mio personalissimo punto di vista. Non intende sminuire alcuna coppia di professionisti del circuito mondiale. Questo post esprime semplicemente la mia lettura di quanto sta accadendo. Non polemiche, vi prego. 😉

TORMENTA TANGO MARATHON. #ditantointango

Prima di esprimere il mio personalissimo parere su “Tormenta tango marathon” di questo fine settimana, è necessario fare una premessa.

Le maratone 3.0 sono molto diverse da quelle del decennio precedente. Esiste uno spartiacque temporale tra pre e post Covid. E’ un fatto. Molti ballerini del decennio precedente hanno scelto di dedicarsi anche ad altre attività, nuovi adepti hanno iniziato ad indossare le scarpette e ad andare in giro per eventi. Il che è sempre un bene, si chiama ricambio generazionale e, a noi della guardia vieja, ci mette di fronte all’ineluttabile scorrere del tempo, come vedere i propri figli divenire adulti.

Maratona 3.0 è un variopinto mix di livelli di tango, intesi come anni di studio e pratica alle spalle, un misto generoso di persone giovani e meno meno giovani, un mix molto più evidente di tipologie di abbraccio, dal chiuso milonguero al dinamico aperto. Anni addietro chi andava per maratone non frequentava – nella maggior parte dei casi- gli encuentros e viceversa. Oggi non è più così.

Con questa nuova consapevolezza e grande allegria sono uscita dai patrii confini per andare ad Opatija (Abbazia in italiano) e trovare gli amici croati che non vedevo da un po’.

Il periodo dell’anno prescelto per la maratona esalta la piacevolezza della deliziosa cittadina sul mare, regalando una gioiosa emozione al primo riflesso della luce sullo specchio di mare a cui si affaccia.

La location ha, vieppiù, esaltato lo spirito del luogo: un’ampia vetrata affacciata sulla punta più a nord dell’Adriatico, coinvolgeva animo e sensazioni in una danza di emozioni celebrate dalla musica.

L’organizzazione non ha avuto pecche e, ciò che ho molto apprezzato, è stata la sentita ospitalità riservata ad ognuno, una calorosa accoglienza, di padroni di casa che sono davvero contenti di averti e fanno di tutto per farti sentire a tuo agio.

Una nota speciale la merita anche la lezione di yoga per tangueros esausti, offerta prima delle due pomeridiane che ha rimesso a nuovo tutti i partecipanti, un’ora di stretching profondo condotta dalla maestra di yoga e pure organizzatrice, Tamara.

Tormenta tango marathon è perfetta per le coppie, tanto tango in un contesto che offre spunti romantici che non guastano.

Tormenta tango marathon è un’ottima occasione per organizzare una bella truppa di amici e godersi il weekend primaverile mescolando mare, tango e nuovi amici che, per me, è una delle abbinate meglio riuscite!

Tormenta tango marathon ha l’energia bella di quegli eventi che tengono lontano lo stress, si balla in totale serenità, liberi.

Grazie a Tamara, Sasa e a tutto il team per averci accolti con così tanto calore.

Oggi è lunedì e sono scesa al lavoro con il sorriso perchè un fine settimana così mi ha rigenerato completamente!

Pimpra

TOSCA 2024. TUTTO CAMBIA, NIENTE CAMBIA. #ditantointango

Non c’è primavera senza la Tosca, “La maratona” italiana per eccellenza. I primi 2 lustri scollinati con l’agilità di una gazzella, ripropone di anno in anno una formula consolidata, rodata nel tempo e garanzia di qualità.

La location ruba ogni volta il cuore, una meravigliosa villa immersa nelle colline toscane, con una pista da ballo allestita in un pavillon con vetrate sul giardino. Vale la pena partecipare anche solo per godere del luogo.

Rimane immutata la qualità dei servizi, puntuali e rigorosi, migliorati – se possibile- per agevolare in tutto e per tutto la vita dei maratoneti. Cibo ottimo, con specialità del luogo che fanno assaporare la bellezza sensuale della Toscana anche attraverso le papille gustative.

Ho perso il conto di quante edizioni di Tosca mi hanno vista partecipare e, spero che con questa mia dichiarazione di longevità, l’anno prossimo non mi vengano chiuse le porte, ho potuto vivere i cambiamenti nella grande vague tanguera degli ultimi 12 anni.

La mia prima nel 2012, la mail di risposta con quella meravigliosa parolina “IN” mi mandò ai matti dalla felicità. Ho ballato insieme al gotha del tango europeo del tempo, insieme, non “con” perché se non eri conosciut* come ballerin* e all’altezza, nemmeno potevi pensare di avvicinarti a una tanda con i mostri. Però ballarci vicino era comunque una sensazione meravigliosa che spronava a studiare per crescere e, chissà, magari un giorno, avere la possibilità di ballarci insieme.

Gli anni passano, e così il parterre muta.

L’edizione di quest’anno è stata più che mai inclusiva, accogliendo in pista anche tangueros acerbi (in termini di chilometri di tango nelle gambe), di entrambi i sessi, coppie comprese. Per noi che siamo oramai la vecchia guardia è una novità, nel senso che la maratona è diventata meno “stressante” da un certo punto di vista. Meno ansia da prestazione, più livelli di ballo, più possibilità di divertirsi per tutti.

In assoluto è questo il cambiamento più grande che ho percepito. Meno imperatori e imperatrici irraggiungibili, nonostante non mancassero i tangueros di categoria altissima, una fascia di ballerini medio alta e pure i pulcini della pista.

Se dovessi dare un titolo alla Tosca 2024 direi “INSIEME”.

Considerato il tempo che stiamo vivendo, con ciò che intorno a noi accade quotidianamente, avere la possibilità di potersi concedere un fine settimana così delizioso, è una fortuna immensa. Poterlo fare condividendo la gioia a 360 gradi, mi pare ancora meglio.

Grazie alle Tosche che non deludono mai. Il mio cuore è con voi.

Pimpra

ENERGIA VIBRAZIONALE. #ditantointango

Prima di proseguire, leggetevi il post che sta sopra. E’ la premessa.

Discutevo di “energia femminile” e invito. Era l’oramai lontano 2018 ma lo spunto di riflessione torna molto utile per indagare ancora, aprendo, però, un nuovo scenario.

All’epoca, forse per la mia verde età ( 😀 ) dividevo l’universo delle tanguere sostanzialmente in due macro classi:

Seguidoras

Giaguare

Le prime, le “ballerine”, oggi le definirei le “danzatrici classiche” del tango, nel senso di fulgide rappresentanti della Tradizione.

Le seconde, al contrario, le “rivoluzionarie”, le “sessantottare” del tango, quelle che hanno rotto certi schemi.

L’invito dove arriva più facilmente, mi chiedevo allora. Risposta, come io stessa scrissi, piuttosto ovvia.

L’esperienza, quest’oggi, mi ha aperto una nuova via di indagine sull’energia dell’abbraccio, sulla connessione. E’ una cosa che ho sperimentato su di me: mi ritrovo nella seconda macro categoria, quella delle ribelli, non sono mai riuscita a seguire brava, buona, puntuale, l’uomo. Hoi bisogno – da sempre, di dire la mia, senza voler essere arrogante o – peggio- aggressiva e che mi piace assai parlare/confrontarmi con l’altro e questo esce anche quando ballo.

L’età, dicevo, l’esperienza di tanti tanti tanti chilometri passati a ballare mi ha fatto scoprire, o forse meglio dire trovare, una nuova strada: si può ballare da giaguare rivoluzionarie in modo “nuovo” ovvero sintonizzando un altro tipo di energia con il partner che non è più quella cinetica (dinamica di movimenti) o quella emozionale (connessione e abbraccio), ma si tratta di una sfumatura più eterea ma estremamente potente: l’energia vibrazionale.

Fateci caso, se nel primo abbraccio ci mettiamo in un ascolto profondo dell’altr* che non è solo delle emozioni che ci arrivano dal semplice fatto di “toccarsi”, ma mettiamo in campo quella sensibilità oserei dire “felina, animale, istintiva” che ci guida a percepire le vibrazioni energetiche dell’altro essere umano, esce un dialogo assolutamente fenomenale. Si entra in una dimensione di trascendenza che supera la pura connessione, la dinamica, e si balla in modo diverso, entrambi.

Questo tipo di ricerca richiede di fare una sorta di vuoto mentale, nel quale ci si abbandona completamente, senza paracadute. Se entrambi riescono a liberarsi, la tanda si librerà in una dimensione così assoluta da risultare indimenticabile.

Di sicuro un simile attegiamento mentale richiede esercizio e – probabilmente- non si può mettere in campo in ogni tanda, solo in taluni speciali momenti. Mi sento di suggerire di sperimentarsi in questa nuova ricerca, il tango farà un salto quantico dal quale sarà difficile tornare indietro. Provare per credere.

Pimpra

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DON VALERIO CI HA VISTO LUNGO. #ditantointango

Gli ingredienti che fanno di una milonga una milonga di successo sono, a parere mio, essenzialmente tre: i padroni di casa e lo staff, musicalizador, e piso/ pista+sala.

La storica sede della scuola triestina di tango dei maestri Ester Orlando e Mauro Damiani che hanno formato generazioni di tangueros locali, ha cambiato veste, trasformandosi da una anonima sala utilizzata unicamente perchè spaziosa a uno spazio accogliente, aggregativo, dove incontrarsi per ballare bene, su un pavimento degno di tale nome: di legno.

L’incredibile trasformazione del locale, benchè piuttsto grande, è avvenuta grazie alla visione lungimirante di don Valerio Muschi della parrocchia Madonna del Mare che ha deciso di trasformare la sala parrocchiale in uno spazio di pura accoglienza, dedicato al tango e a tutte le attività ludico-didattiche della parrocchia destinate a un pubblico diversificato per età e interessi.

Ieri sera, milonga inaugurale a cui il popolo locale e non solo ha risposto con entusiasmo, restando felicemente sorpreso per le migliorie e la piacevolezza acquisita da luogo.

I nostri ospiti, Ester e Mauro, sempre attenti alle esigenze dei ballerini, si sono prodigati per farci sentire, una volta in più, a casa, in un ambiente confortevole e gioioso dove poterci esprimere nella nostra grande passione: il tango.

Un tocco sostanziale alla festa lo ha dato sicuramente il musicalizador della serata, Paolo Vagliasindi che, mai come ieri sera, ci ha deliziato con tandas sfiziose mantenendo vivace e vigorosa l’energia di tutta la sala.

Il prossimo appuntamento tra un mese! Non possiamo mancare! Tutte le info qui.

Pimpra

PS: Gioiosi e distrutti a fine milonga. Nessun uomo è stato maltrattato per la foto. Apprezzate la meraviglia della sala sullo sfondo. Ecco. 😀

IL TEMPO DELLE MELE. #ditantointango

Non passa giorno che sui social non escano gli album dei numerosissimi eventi di tango che hanno luogo in giro per l’Italia, l’Europa, il mondo. Mi piace guardare le immagini di volti rapiti, di sorrisi, di linee corporee avvolte nell’abbraccio, coppie dentro quel flow unico che rapisce ogni ballerino di ogni tipo di danza, di ballo.

Le luci non luci della milonga creano molto spesso quadri suggestivi, restituendo sotto forma di frammenti visivi, le emozioni e l’energia vissuta dai tangueros.

Mi delizio e osservo e vedo nuovi abbracci, fluide dinamiche e guardo ancora e noto un particolare che ricorre sempre più spesso: i volti sono giovani, non sono quasi mai segnati da rughe.

In questi album fotografici certo sono presenti anche miei coetanei/ee ma, nel bilanciamento globale delle immagini, il loro numero sta calando…

Allora, da buona sportiva, mi sono chiesta: quando è corretto appendere le scarpette al chiodo? Il ritiro dalla scena tanguera è in funzione dell’età anagrafica del tanguer* o ne è completamente slegato? E’ opportuno mettere in campo un certo pudore rendendosi conto che, per raggiunti limiti di età, si cede il proprio posto alle nuove generazioni?

Confesso che il solo pensiero di “ritirarmi” mi procura una fitta di dolore, non sono pronta, non sono affatto pronta, ma mi rendo anche conto che le situazioni relazionali in pista, stanno mutando molto velocemente. Sicchè che fare?

Per le gentili signore la faccenda si complica all’aumentare dell’età molto prima di quanto non accada all’uomo. Mi sento di dire (magari per consolarmi) che se la qualità di ballo che riusciamo ancora ad offrire rientra nel criterio del “dignitoso”, possiamo concederci di calpestare ancora le assi di legno. Se la qualità cala una domanda me la farei, sono sincera.

Quanto agli uomini, loro affrontano una tematica affine ma diversa su altri aspetti, direi che pure per loro possa valere lo stesso discorso: a che punto sta la qualità del tango che posso offrire? Certo entrambi i sessi devono essere molto sinceri con se stessi e posizionare la loro asticella nel punto corretto della scala. Senza abbondanze e senza sconti.

Non siamo porteñi, in Italia/Europa non abbiamo la tradizione della milonga come normale asset sociale, per noi è e rimane una passione importata e come tale non possiamo viverne appieno le sfumature che ci consentirebbero la gioiosa partecipazione alle milonghe anche a 80 anni compiuti, se le gambe ci reggessero.

Mi auguro di poter godere ancora per molto del sapore unico di abbracci scambiati dentro le note incantevoli del tango, spero di non scadere mai nel ridicolo e di accorgermi per tempo quando sarà il mio tempo di salutare la milonga.

Nel frattempo però… DAJE!

Pimpra

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“VENITE A NOI”. PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA’. #ditantointango

Viaggiando la penisola per ballare, e lo faccio da tre lustri abbondanti, mi rimane ancora un sapore dolce amaro vedendo che la mia regione, il Friuli Venezia Giulia, non risulti particolarmente attrattiva nei confronti del popolo tanguero migratorio.

Eppure la regione è attraente ed offre delle piacevoli chicche a chi, oltre a caplestare le assi di legno della pista da ballo, desidera dedicarsi al turismo, anche di tipo enogastronomico. Le possibilità non mancano, credetemi!

Come accade per le fughe dei cervelli, pure i tangueros oriundi prediligono andare a ballare fuori dai confini regionali, non fosse altro che per trovare nuovi stimoli. Ci sta, non si cresce se non ci si confronta, diventa noioso ballare sempre con le stesse persone, è naturale la voglia di cambiare.

Trieste ci ha provato più volte ad attrarre gli sguardi da fuori, per la cronaca cito solo due eventi molto diversi che hanno segnato un’epoca. Chi non ricorda le edizioni del TTYTù, maratona super carina organizzata da un manipolo di amici che ha riscosso un incredibile successo e, come non citare l’International Trieste Tango Festival che per 8 anni di fila ha portato in città gli amanti del genere dal mondo intero.

Però non basta, in ogni provincia della regione, da Udine a Pordenone a Gorizia si organizzano milonghe regolari ed eventi speciali, con attenzione e cura ma, nonostante gli sforzi profusi, faticano a richiamare con una certa continuità, la partecipazione massiccia di tangueros stranieri, italiani e non.

Da ballerina mi perdo con le bave a sognare il pubblico danzante delle milonghe dell’Emilia-Romagna (solo per citare una regione a caso ma che mi ha letteralmente rubato il cuore), dove al mix dei ballerin* locali si uniscono moltissimi partecipanti da altre regioni italiane, me compresa, creando milonghe, eventi, di una piacevolezza assoluta.

Siamo bravi e carini anche noi, quelli dell’estremo nord est d’Italia, di cui il popolo tanguero si ricorda solo quando passa di qui per andare a fare le vacanze al mare in Croazia o per ballare a quel bellissimo festival lì dei primi di luglio. Non è gelosia, la mia, ci mancherebbe, è che mi piacerebbe vi innamoraste anche di noi, dei nostri spazi, dell’offerta che abbiamo e che saremmo felici di poter ampliare, migliorare e condividere anche con voi.

Ieri pomeriggio la milonga del Circolo del tango di Trieste in quella sala bellissima della piccola Fenice, un luogo che merita di essere riempito della più variegata qualità di tangueros da ogni dove. Il giorno precedente una super milonga al Circolo Zoo di Udine, con i maestri Eloy Octavio Souto e Soledad Larretapia, escamotage perfetto per godersi una combo di tango di alta qualità. Solo per citare le prime possibilità di ballare che mi sono venute in mente in un fine settimana qualunque dell’anno.

Per concludere, Amici tangueros, questa regione aspetta a voi, a braccia aperte, pronta per abbracciarvi come si deve, con calore e ospitalià!

Informatevi qui e qui e qui .

Vi aspettiamo!

Pimpra

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ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE. IL LEADER E I SUOI BENEFIT. #ditantointango

Da qualche tempo a questa parte, una follower spaiata che si iscrive a qualsiasi tipo di evento che preveda il bilanciamento dei ruoli, si vede spesso arrivare nella casella di posta, lunghe mail di scuse degli organizzatori per averla collocata nella black list degli esclusi “la waiting list”.

La waiting list, al 99% delle volte, non si sblocca e la malcapitata follower sa che quell’evento per lei è bruciato.

Da vent’anni a questa parte e, ovviamente, da molto tempo prima, la vita sociale della single follower è stata in salita, ma in questi tempi moderni, è diventata un martirio. Se a questo aggiungiamo magari un’età non più verdissima della malcapitata, l’impresa di essere “IN” ha del miracoloso.

Una volta, arrivata la mail asciutta in cui leggevi la fatidica frasetta maledetta “waiting list”, chiudevi la mail, la eliminavi, “Non è andata, pazienza, tanto si sa che da sole è difficile”.

Oggi, la stessa letterina arriva con un panegirico di scuse da parte degli organizzatori – pure loro spaesati- poichè, ad iscrizioni aperte, in un men che non si dica, orde di ballerine spaiate si iscrivono e i maschi se la prendono con molto calma, permettendosi l’iscrizione all’ultimo momento, consapevoli che, con la fame di leader che c’è, vengono presi di sicuro.

Allora sapete che vi dico – sticazzi! Questa non è democrazia sociale ma un vero e proprio abuso di posizione dominante!

Se ci fossero organizzatori con due palle così potrebbero imporre una regola: vuoi partecipare, tu, maschio leader principe assoluto del piso, allora hai tempo di farlo entro tot dalla data dell’evento, perchè, se lo fai dopo, la quota di iscrizione per te cresce del 20% in più (o una parcentuale fastidiosa e pesante a scelta) e, oltre una certa dead line, non puoi proprio iscriverti più. (Organizzatori lo fate di già?)

Non è affatto democratico che le follower, pur viaggiando con l’agendina aggiornatissima all’ora in cui si aprono le iscrizioni, precise come orologi svizzeri nell’inviare puntualissime i loro form compliati senza errori, debbano sempre e sempre più spesso fare i conti con la frustrazione di vedersi, una volta in più, mettere in quel purgatorio infame della lista d’attesa. Forse un NO secco è meglio dell’inutile illusione di questa fastidiosa lista di attesa.

Quanto ai leader, bella la vita a surfare tra i corteggiamenti delle ballerine alla ricerca spasmodica di un cavaliere con il quale poter fare questo cavolo di match così da non danneggiare il balance dell’evento. Proprio una bella vita. Mi rivolgo a voi: siete i re del mondo, i più belli, favolosi, incredibili e performanti potenziali compagni di ballo di ogni follower che calpesta il piso, fate un atto di benevolenza al mondo, scendete dal vostro piedistallo e iscrivetevi agli eventi in tempo ragionevole, come se – veramente- foste interessati a partecipare, perchè ballare lì in quella location, in quel periodo dell’anno, è una cosa che desiderate veramente fare! Organizzatevi come facciamo noi e prendete le decisioni in tempo reale.

A M E N. Andate in pace.

Pimpra

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800 TANGO PARTY. 12 ORE DI SORPRESE. #ditantointango

Per chi, come me, fa parte della generazione precedente ai millenials, Facebook resta ancora una pietra miliare per essere a conoscenza di interessanti eventi tangueri.

Grazie alle foto viste sul social e alla sensazione piacevole che ne ho ricavato oltre ai commenti assolutamente entusuasti che ho letto, mi sono organizzata e, con un amico, mi sono iscritta all’800 tango party di domenica scorsa.

La curiosità che avevo di verificare di persona questa milonga di 12 ore di cui in tantissimi mi avevano parlato con grandi elogi, è stata appagata nel migliore dei modi possibili.

Innanzitutto ho vissuto l’esperienza con due gruppetti di amici che rendono la trasferta tanguera già piacevole di suo, il resto lo ha fatto il party.

Location poco fuori Ferrara molto facilmente raggiungibile in macchina, ampio parcheggio super organizzato (presente anche il parcheggiatore). Una struttura grande, interamente dedicata alla ristorazione: una gioiosa casa dell’accoglienza culinaria nel cuore pulsante dell’Emilia. Una famiglia intera al servizio dei piaceri della tavola e non solo.

Eravamo davvero in molti, a occhio e croce sulle 200 persone, organizzazione impeccabile dall’accoglienza e check in dei partecipanti, pagamento, braccialetto identificativo e via, al secondo piano interamente dedicato alla festa.

Uno spumeggiante tj set che ha visto alternarsi Max Romano a Flavio Zizzu che hanno saputo mantenerci in pista durante le lunghe ore che dalla tarda mattinata ci hanno portato alla fine del giorno.

“Dove c’è casa” ci sono tangueros. E’ stato bellissimo incontrare nuovamente persone che non vedevo da moltissimo tempo, ballerini di tutte le età e provenienze geografiche della penisola con alcuni ospiti anche stranieri.

Non ho mai visto un buffet tanto incredibilmente ricco come quello trovato all’800 tango party! Dalle leccornie in stile brunch, ai primi piatti ai contorni ai dolci offerti, riassortiti in continuazione per tutta la durata dell’evento! Non ho memoria di aver mai mangiato così tanto e ininterrottamente durante un’intera giornata, impossibile resistere alla tentazione.

Il deus ex machina di questa festa, Alessandro Parise e la sua famiglia di ristoratori coadiuvati dallo staff che ci hanno coccolati in un modo unico.

Tra un assaggio e l’altro di ghiotte pietanze ho anche ballato e mi sono divertita un sacco. I piedi dopo le prime 5 ore hanno urlato vendetta: ho tolto i tacchi e chi se ne frega.

Stamattina, salita sulla bilancia, temevo il peggio, invece nessun danno collaterale – evviva! – perchè se stai bene, balli bene, mangi ancora meglio è come assumere la pillolina della felicità!

Pimpra

Ps: se volete partecipare al prossimo party, info qui. Se volete semplicemente mangiare al ristorante, qui, ma prenotate prima è sempre pieno.

QUELLE FRIVOLEZZE A BORDO PISTA CHE TALI NON SONO. #ditantointango

Quando sono a bordo pista osservo i danzatori con interesse e curiosità. Di solito miriamo il/la partner che conosciamo, oppure andiamo alla scoperta di nuovi abbracci.

Guardo le movenze, ma pure i volti di entrambi, cercando di capire se la magica connessione prende i due elementi della coppia. Dagli sguardi, da piccoli segnali del corpo, con attenzione e pratica, si possono immaginare delle sensazioni dalle quali il desiderio di farsi la tanda con talun* o talatr* cresce o si spegne.

In questo gioco alla ricerca della scintilla che illuminerà la data tanda, secondo me, entra un altro elemento, dall’apparenza superficiale ma che tale non è: l’abito.

Avete mai notato nelle mirade che fate e che ricevete quanto vi rubi o meno l’attenzione l’abito dell’invitante, caso follower, o dell’invitata, caso leader?

Sono sempre più convinta che il vestito indossato abbia il potere di esaltare, modificare, definire lo “stile” di chi balla.

In quanto follower, ho l’armadio strapieno di vestiti per ballare che ci potrei fare un mercatino dell’usato, ovviamente, come la quasi totalità delle donne, quando devo decidere cosa indossare in milonga o mettere in valigia per un evento, mi sembra che l’armadio 4 stagioni sia vuoto.

Il vestito non risponde unicamente alla logica del comfort poiché ballare implica movimento ma, in primis, a una dimensione della mente, sempre diversa, che deve trovare un vantaggioso accordo tra ciò che il corpo desidera fare e l’asse mente/cuore trasmettere. Pare una banalità, ma se ci fate caso, quasi nessuno indossa cose a caso. (Ho scritto “quasi” nessuno).

Percepisco una netta differenza nel modo di ballare se indosso una gonna fluida che si muove con me e accarezza i movimenti, piuttosto che quando ballo con un abito fasciante tutt’uno con la pelle. Non si tratta di comodità per le gambe, quanto di una sensazione sottile che da dentro (emozioni/sentimenti/percezioni) riverbera all’esterno.

Non solo la forma e la struttura dell’abito ma pure il colore ci influenza, la stampa, le cromie più o meno forti o delicate.

Credo che anche per l’uomo sia un po’ la stessa cosa, con la sola differenza che - fino ad ora- è legato all’utilizzo dei pantaloni e quindi le possibilità di variazioni sul tema sono più ridotte, ma non si sa mai come il costume possa evolvere in futuro.

Di base siamo sensibili a sottigliezze di cui nemmeno ci rendiamo conto e, sia quando scegliamo la persona con la quale ballare che quando siamo scelti, anche questi dettagli, apparentemente poco importanti, finiscono per giocare un loro ruolo.

Per concludere, ricordiamoci che “mezzo è messaggio” e che l’abito – sempre - parla di noi.

Pimpra

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QUANDO DIETRO LE QUINTE CI SONO LE DONNE. BOca TANGO DAY. #ditantointango

Il mio anno tanguero ha preso vita in Emilia Romagna dando un felice imprinting alle mie velleità danzerecce, riportandomi, una volta ancora, nell’accogliente terra del tortellino (e non solo!).

Una formula che amo particolarmente: un “All you can dance” di 14 ore di fila. Un sabato dedicato all’attività preferita: ballare e – soprattutto – ballare bene.

In Emilia Romagna, diciamocelo, sono molto viziati, non c’è parquet che si calpesti dove non si trovi ottima offerta di ballerin* che siano oriundi o in trasferta, di sicuro amano ritrovarsi colà. Me compresa.

Della sede prescelta, Casa Katia Bertasi ne ho già parlato qui, ribadisco la comodità di raggiungerla, specie per la sottoscritta che ha viaggiato in treno, oltre la piacevolezza di ballare in una ampia sala vetrata con affaccio sul verde.

Quale sia la formula di una nuova milonga nel ricco panorama bolognese, non mi è difficile identificarlo: la passione di tre donne, le art director dell’evento, che, oltre alla esperienza come ballerine ed insegnanti di tango, hanno messo la sensibilità e l’organizzazione tipica delle donne.

Programma cristallino: offriamo 14 ore di ballo, piccoli snacks (non vi riempiremo la pancia perciò organizzatevi, ma noi vi forniamo tutte le informazioni per aiutarvi, compresi i cockatil al bar a prezzo convenzionato), una tonnellata di deliziose arance Resca che fanno anche bene alla salute (ps: next time provate a noleggiare il macchinario utile alla spremitura del nettarino frutto così da agevolare gli avventori dell’aranciata), una super coppia di Dj che ci hanno fatto fondere la suola delle scarpe.

Trovo interessante la formula che le tre madrine di BOca tango, Antonella, Luciana e Marianna hanno scelto, il prossimo incontro a marzo per concludere (in questa prima fase) a giugno. Diluire l’evento per dare la possibilità anche a chi non è dei luoghi di organizzarsi il viaggio, e, immagino, anche per non andare contro alle milonghe fisse di Bologna e dintorni. Sensibilità tutta femminile, a mio parere e forse, anche legata alla logistica di sala che, bella com’è, sarà spesso utilizzata per eventi.

Cosa posso aggiungere se non che è sempre un piacere assistere a un “ciack si gira” di una prima edizione che finisce con l’esclamazione “buona la prima”!

Felice di essere stata presente e ballare il vostro successo!

Pimpra

QUANDO TI DICE “NO”, NON E’ TRATTABILE. #ditantointango

Milonga in una delle sedi che preferisco, splendida atmosfera, amici, tango per tutti i livelli, dai beginners ai più navigati, pomeridiana unita alla serale, in una parola festa grande.

Partecipo con un’amica, balliamo, ci divertiamo.

Mentre sono tutta presa in una tanda, con la coda dell’occhio colgo il suo sguardo disperato e noto il ballerino che la cinge.

Qui, serve fare una doverosa premessa:

siamo stati tutti principianti, quindi possiamo accogliere le difficoltà che ambo i sessi sperimentano nel grande agone della milonga. E’ compito dei più esperti agevolare le giovani leve, accompagnarle nella loro crescita, anche spiegando per bene il bon ton del tanguer*, al fine di evitare al lui o lei di turno pessime figure che sporcheranno la “fedina tanguera” a volte, pregiudicando per sempre, un piacevole e sereno percorso.

Due sono le regole d’oro che vanno tatuate nel comportamento dei danzatori: si invita con mirada e cabeceo, il no (eventualmente ricevuto – poi ne parliamo) è un no che va rispettato.

Torno alla mia amica, finisce la tanda e con rabbia mi racconta il suo vissuto: un uomo, pure di età piuttosto avanzata, non solo le si para davanti (non si conoscevano) e la invita verbalmente, mentre lei, nel momento in cui si era accorta che si stava avvicinando, aveva girato lo sguardo da altra parte, manifestando con rispetto la chiara intenzione di NON ballare con dato soggetto. L’uomo, indifferente, piantandosi davanti a lei “Balli?”, “NO GRAZIE, non mi va la milonga”, “Non ti devi preoccupare, faccio tutto io” e, porgendole la mano, con tono imperioso, l’ha costretta ad alzarsi e andare.

Quando me lo ha raccontato le ho parlato del sacrosanto diritto di dire di NO e di NON accettare – per nessuna ragione- un invito che risulta sgradito, ma poi, a mente fredda, ho analizzato meglio la situazione, comprendendo quante leve emozionali, una simile prevaricazione – altro che patriarcato! – muove nell’animo di una donna.

Lui era fisicamente imponente, anziano, con modi decisi. Lei molto più giovane, educata e gentile, la classica “brava ragazza” abituata a comportarsi bene. E’ facile dire “Ti dovevi alzare e lasciarlo lì”, per lei, al contrario, sebbene le facesse raccapriccio l’idea di quella tanda, si è alzata quasi obbedendo a una voce interiore e ha ballato una tanda tremenda.

Proviamo a metterci nei panni dell’altro e impariamo a scovare, anche in un luogo di divertimento, comportamenti di fatto aggressivi. La violenza si traveste di moltissimi abiti, non solo di urla, parole ferenti, minacce più o meno velate, botte. Violenza è anche costringere qualcuno a fare qualcosa che non gradisce, impedendogli di agire il suo libero arbitrio, come in questo caso, di declinare un invito.

E’ violenza anche quando un ballerino che non conosci e che scansi con lo sguardo, ti si para davanti, “obbligandoti” con il corpo ad accettare l’invito. Non tutte le donne sono forti abbastanza per ribellarsi, in tante – ancora, si piegano a certi soprusi.

Il tango è democratico, sociale, e, soprattutto, rispettoso di entrambi i sessi e di entrambi i ruoli. Mai vorrei incrociare chi, con fisica insistenza, mi costringesse a fare ciò che non desidero o nel momento in cui non lo desidero.

Tutti noi dobbiamo imparare ad accettare i NO, essi ci servono per riflettere, per imparare e per crescere. Ricevere un NO in milonga non significa che siamo esseri umani senza valore (o valore tanguero), infinite sono le ragioni – logiche, illogiche, di pancia- che fanno sì che a quella tal persona, in quel tempo, siamo sgradit*. Pensiamo che può essere “per sempre” o momentaneamente.

Quando ero una giovane ballerina, leggi principiante, e mi riempivo gli occhi guardando i bravi, sognavo ad occhi aperti di essere invitata da uno di loro. Immaginavo il giorno in cui sarebbe successo (ho sempre voluto essere ottimista! 🙂 ) e come mi sarei sentita, e il percorso di crescita che avrei fatto.

Per sopportare l’attesa, ho ideato il gioco della bandierina. Immaginandomi un’alpinista di vette himalayane, quando – finalmente!, fosse arrivato l’invito tanto sperato, avrei assegnato alla tanda la bandierina di vetta conquistata. Con gli anni, la pratica, lo studio, l’umiltà dell’attesa, le bandierine sono arrivate numerose e, ancora oggi, con immutata gioia, continuano a sorprendermi.

Cari uomini all’ascolto, quelli che credendo di ballare una quadriglia ottocentesca si parano con manina tesa davanti alla tanguera riluttante, fate cinque passi indietro, trovate la giusta posizione in cui potreste intercettare il suo sguardo e guardatela, non va bene la prima volta, riprovateci, con serenità e costanza. E, se per quella milonga non andrete a segno, non fatene una malattia, ci saranno altre occasioni.

Siate cavalieri rispettosi dell’altrui volontà. Così vi vogliamo.

Pimpra

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UNA POMERIDIANA SCOPPIETTANTE A KM ZERO #ditantointango

Avete presente quel fenomeno assurdo secondo cui, se qualcosa è vicina non la noti perchè lo sguardo vola lontano? Ecco è precisamente ciò è accaduto a me nel pomeriggio di ieri, quando ho messo per la prima volta piede nella bellissima sala “Piccola Fenice” a Trieste.

Mille volte amici tangueri triestini mi hanno invitato ad andarci, in occasione di milonghe, e mai ho trovato il tempo.

Stimolata dall’occasione, per me irresisitibile, della pomeridiana, finalmente mi sono decisa.

Lo spazio fisico mi ha stupita, un meraviglioso salone delle feste, ampio e arioso con un piacevolissimo pavimento di parquet, il massimo per ballare. L’audio, nonostante l’ampiezza della sala, ben costruito, il parterre danzante più frizzante che mai.

In pista ho visto rappresentata la generazione tanguera con la quale ho iniziato e un bel gruppo di nuove leve. La musica di Filippo Giacomelli ha saputo mantenere vivace lo spirito dei ballerini che apparivano coinvolti e stimolati.

Fa piacere constatare che gli sforzi messi in atto dal direttivo del Circolo del Tango di Trieste stiano portanto i loro frutti, così che anche Trieste possa, un giorno non lontano, diventare un polo di attrazione e di interesse per coloro che amano ballare.

Da quanto comunicato ieri sera, durante il mese di dicembre ci saranno altre ghiotte occasioni per ballare a km zero (che pare un piccolo miracolo!), non lasciamocele scappare e prepariamo le “scarpette rosse” delle feste.

Pimpra

“AMARCORD” SI VESTE DI NUOVO #ditantointango

Amarcord è una delle mie maratone preferite da sempre, tanto che, quest’anno, non vedendo arrivare la notizia dell’edizione, mi sono preoccupata e ho scritto direttamente agli organizzatori.

Non era un ritardo voluto, ma necessario perché, l’edizione 2023 ha riservato moltissime sorprese.

La location: una sala affacciata sul giardino di un complesso chiamato casa di quartiere Katia Bertasi che da “centro sociale per anziani (…) diventa “casa di quartiere”, ma non cambia la sua natura inclusiva e tanto meno il suo nome, che è dedicato a una delle 85 vittime della Strage del 2 Agosto e rappresenta quindi un pezzo di storia particolarmente importante per la città.” ( cit. ).

La nuova veste di maratona “non stanziale”, come tutti i cambiamenti, ha portato i suoi pro e i suoi contro.

I pro: doversi trovare l’alloggio permette anche di scoprire nuovi quartieri della città ed entrare in un contatto più profondo con il cuore pulsante di una realtà urbana e sociale che non è la propria.

La sala dove si è ballato, ha offerto una vista piacevole e aperta su uno spazio verde, essendo costruita con due pareti a vetrata. I frequentatori del luogo, giovanissimi o adulti, spesso si fermavano dinnanzi alla grande parete di vetro, incuriositi. C’è chi faceva foto, chi si tratteneva per un lungo momento dinnanzi a quello spettacolo così inusuale: persone di tutte le età che si abbracciavano lanciandosi in un ballo dalle mille sfumature.

La novità più interessante che la nuova livrea di Amarcord ha riservato è stato l’orario: oltre a quello solito di maratona che tutti conosciamo, c’era la possibilità di ballare la “matinée”, ovverosia dalle 10.00 del mattino alle 15.00 senza intervallo con la pomeridiana che prendeva il via alle 15.00.

Una sorta di passaggio di testimone tra tj pensata, in particolar modo, per favorire le numerose coppie con bambini ancora molto piccoli che, in questo modo, potevano fare staffetta tra accudimento pupo e ballo. Una proposta che ho trovato particolarmente interessante oltre che un segno di grande sensibilità degli organizzatori.

Il contro: la difficoltà di trovare alloggi/hotel/b&b a prezzi accettabili (e disponibili!) poiché nello stesso weekend, la città ospitava tre fiere ed altri eventi sportivi di grande rilievo.

Per ovviare al problema, e in esaltazione dello spirito da sempre molto ospitale degli emiliano-romagnoli, così come si fece a Trieste con il bellissimo evento Trieste Tango y Tù che in molti, quando vi dico che sono triestina, ancora ricordate, per la prossima edizione si potrebbe proporre ai bolognesi di “portarsi un* maratonet* a casa”.

Per esperienza garantisco che sia per l’ospite che per l’ospitante si creano meravigliosi legami e ricordi.

Un’altra chicca che voglio assolutamente citare è la seguente: il braccialetto maratona che ha riportato parole importanti/simboliche/amate/divertenti di noi partecipanti.

A me è capitata “ESTASI” e posso confermare che le emozioni, le gioie, le risate, le tandas che ho ballato mi hanno traghettato senza dubbio alcuno in quella dimensione.

Cari Antonella e Fabio e tutta la splendida crew che vi ha supportato, avete il cuore grande e Amarcord, una volta in più, lo ha dimostrato!

Pimpra

COLEGIALA N. 8 E FATTORE “A” #DITANTOINTANGO

Per chi non lo sapesse ancora, questi cinque volti sorridenti sono l’anima pulsante della Colegiala, maratona in quel posto pazzesco, ex colonia estiva della Fiat, che rappresenta – per me- la chiusura con bacio sulla fronte, delle maratone “estive”.

Quest’anno giunta alla sua 8 edizione, con una verve, un desiderio di stupire, di divertire, ai massimi livelli infatti i numeri ne sono stati la testimonianza: 300 e più persone di fedelissimi e nuove leve. Questi sono i numeri del successo!

Quando la data del weekend si avvicina mi sale un’allegria mista di curiosità e desiderio immaginando le sorprese che sempre ho trovato, in tutte (5?) le mie Colegiala.

Ogni anno mi ripeto e dico che l’ultima maratona è la più bella, anche questa lo conferma. Ogni anno ne assaporo maggiormente i dettagli e le sfumature organizzative. Una macchina da divertimento perfetta.

Su 300 eravamo un gran bel mix di provenienze, di età, di “stili” che hanno creato un curry di tango speziato di gran gusto.

Ai miei Colegiali del cuore, a quelle Anime adorabili che l’hanno pensata e ogni anno l’organizzano, il mio sentito GRAZIE, dal profondo della mia anima tanguera! ❤

Affrontiamo adesso il “fattore A”. Avete già capito? Se non vi è chiaro vi offro un esempio: una sala enorme, piena di gente, di gente che fa una cosa per cui praticamente tutti sono accettabilmente brav*, dove – ovviamente – vi sono dei soggetti particolarmente brav*, dove quella cosa accade con brama e desiderio in una zona particolare della sala dove prendono posto quell* dai 20 ai 39 che a 40 butta già male.

Il fattore età, miei cari, quei maledetti segni su pelle e sul corpo che ci qualificano come “passati, andati, decrepiti, vecchi, cariatidi ecc. (…)”. Chi ha superato la boa ed ha messo piede nei meravigliosi “anta” e balla il tango, comincia a farci i conti: si diventa, piano piano, come persone trasparenti oppure invisibili, non si occupa più uno spazio fisico, si fatica a portare la propria luce tra le mura della milonga.

Ci sono “anta” da sballo, giovanili, virtuos* ballerin* che riescono ancora a giocarsela molto bene, ma se tiriamo i remi in barca e smettiamo di darci da fare, la simbolica morte sulla pista è garantita.

Mentre osservavo le dinamiche cercavo di capire certe motivazioni alla base di un invito accettato o respinto, volevo chiarirmi i motivi che spingono molte persone a voler ballare sempre/solo con cert* senza avere l’azzardo, la curiosità di provare o riprovare altri “sapori”. Credevo che 3 giorni di balli matti e forsennatissimi aprissero la possibilità di fare tande nuove, intendo fuori dagli schemi: giovane/figa+adulto normale, giovane/figo+”madre di famiglia” (definizioni che vogliono essere scherzose, sia chiaro), magari che so osando un giovane/adultissim* così, magari per farsi una risata.

Eh no, i tempi non sono affatto maturi per produrre simili acrobazie relazionali. Accettiamolo e basta. Nel mentre, però, per chi è entrato a pieno diritto nella soglia “anta, anta…” il consiglio rimane sempre lo stesso: bisogna STUDIARE. Già il corpo, ci piaccia o no, invecchia, non ci basta più (ma credo non fosse mai sufficiente) dedicarsi a ballare e ballare e ballare. Bisogna affinare, migliorare, smussare ovvero studiare.

È questo il punto a cui siamo giunti, insieme ai miei compagni di viaggio, nella disamina del perché, a un certo momento del nostro percorso di tangueros, cominciamo a stare fermi al palo. Forse, senza saperlo, siamo diventati ballerini arrugginiti, pertanto le lamentele ci tornano indietro.

Il piacere di ballare in una maratona oramai va conquistato con la volontà e il sacrificio. Non ci sono alternative possibili. Una, in realtà: il divano di casa. 😀

Pimpra

EL ADIÓS CON LACRIMUCCIA. #ditantointango

Ci vuole una grandissima motivazione per spararsi una 1020 km nello spazio di un fine settimana, non fai a tempo a sgranchire le gambe che ti ritrovi nuovamente in macchina.

E’ la seconda volta, in questa curiosa estate 2023, che affronto il viaggio per raggiungere quella perla di paese, affacciato alla foce del fiume Magra, dove ha luogo il mio evento preferito open air, la Maratonguera.

Mentre calcolavo le lunghe ore che avevo davanti prima di potermi sollazzare sulla pista affacciata sull’acqua, non nascondo di aver provato una sottile inquietudine, una domanda impertinente si è presentata alla mente: “Sarà bello come l’altra volta?”. Sarà capitato a tutti che il “secondo appuntamento” si fosse rivelato un fiasco, massacrando il cuore di panna dell’ innammorat* di turno.

Temevo che la mia seconda volta potesse essere un flop, causa altissime aspettative.

Ho macinato i primi 500 km combattendo con questa sensazione, fidandomi, al contrario, di quanto suggeritomi dall’istinto: sarà meraviglioso.

In un post precedente (qui) ho citato la cortesia di una padrona di casa che riceve gli ospiti della sua milonga dedicando loro un’attenzione speciale che fa sentire “a casa”. Anche alla Maratonguera si viene accolti così, con lo stesso calore e gioia.

Ho ritrovato gli amici vecchi e nuovi incontrati la volta precedente a cui se ne sono aggiunti altri. Un panorama tanguero di tutto rispetto che ha permesso ai presenti di dilettarsi nelle numerose sfaccettature in cui il tango è capace di vestirsi.

Le tre sessioni di musica, praticamente una pomeridiana e una serale tutte di fila, hanno offerto musica di grande qualità, hanno accolto, caricato, trattenuto, rilassato e ricaricato ancora facendoci ballare alla follia che, a stento, nemmeno il merendino di mezzanotte, a base di il culatello, ci ha tolto dalla pista.

La locanda del Pilota è un posticino che crea l’atmosfera di suo, ci mettiamo due meravigliosi padroni di casa – Flavio e Marcella- che sono nati per ricevere, un gruppo di tangueros assortito nel miglior modo possibile, la luna piena affacciata per un romantico saluto, la brezza della sera a rinfrescare i bollenti spiriti tangueri, musicalizadores di alto rango, direi una ricetta di assoluto successo.

El Adiós non sarà un addio, ma solo un caloroso arrivederci alla prossima!

Pimpra

ESTATE 2023. QUI E ORA

La ricorderò questa estate 2023. Nessun viaggio in mete lontane, nessuna festa da fuochi d’artificio, eppure è stata un’estate carica di significato, densa di un fluido di benessere e pienezza che mancava nella mia vita, da troppo tempo.

Ho riscoperto passioni antiche. L’acqua, primo fluido che ha accolto una mini me, dopo quello del ventre di mia madre. L’acqua azzurra di una piscina all’aperto in cui ho ritrovato gesti familiari, sensazioni intime e profonde che sonnecchiavano da qualche parte, nascoste.

Avevo bisogno di meditare in silenzio, ma il silenzio vuoto dell’aria si riempiva ogni volta di pensieri che mi portavano lontano, in acqua non è così, si sta. Nella mente, solo il numero delle vasche nuotate, come un faro ad indicare la strada del porto, nel mentre, nel ritmico susseguirsi di bracciate e di respiri, ecco manifestarsi prepotente quel Vuoto tanto atteso, carico di un pieno immenso di coscienza presente. Si affaccia e mi guarda.

In acqua sono tornate le amicizie del tempo ed altre se ne sono aggiunte, rendendo la piscina comunale un luogo magico, carico dell’odore familiare di candeggina, un tempio di gioia.

Quest’estate ho indossato per la prima volta le scarpe da trekking e ho camminato su sentieri di montagna, accompagnata da un allegro e coinvolgente gruppo di amiche. Il mantello verdeggiante delle colline dapprima e dei monti poi ha vibrato nei miei occhi come un delicato suono d’arpa. Non ho resistito e ho scattato un selfie con la mucca pezzata nocciola e beige come quella che ho sul letto di casa. Adoro le mucche, mi procurano tenerezza e rispetto.

Il mare cittadino, nel luogo a me più caro, ha regalato giornate roventi del calore delle amicizie incontrate e di quelle celebrate che hanno, troppo presto, lasciato questo corpo fisico. Erano tutte lì, a godere insieme a me della semplicità di un asciugamano appoggiato sulla terrazza del Bivio, ad abbronzarsi in compagnia, tra nuotate, chiacchiere e qualche aperitivo sotto le stelle.

Il tango non è mancato, anche se, quello che oramai sta più vicino al mio cuore, ha lasciato la città, lo ritrovo in altro luogo, fisicamente lontano. Come l’amore cambia forma, anche il tango cambia luoghi, cambia cuori, e vive di un nuovo respiro.

La pioggia esagerata, seppur crudele in certe sue manifestazioni, ha portato a galla i ricordi di un passato molto lontano, in un altrove davvero distante da qui. L’ho celebrata correndo insieme alle gocce grasse, godendo di quella sensazione unica che nasce dalla profonda connessione con gli elementi. Siamo Natura, terra, acqua, fuoco, aria. Sentirli tutti dentro la pelle, nel sangue che scorre, nei profumi che arrivano a stimolare l’olfatto, mi ha resa potente, immersa nell’immensità del Tutto, come ne facessi interamente parte.

Estate 2023, metafisica e immanente, ambrosia d’anima, dolce come una freccia che trafigge il cuore e lo fa traboccare di senso.

Sono grata.

Pimpra

Image credit da qui

“MOLO 5” MILONGA ESTIVA. #ditantointango

Avevo un desiderio furioso di andarci al “Molo 5“, erano anni che ne sentivo parlare.

Ieri sera, finalmente, in missione con le amiche. Ferie il giorno successivo e una voglia matta di ballare.

Le milonghe estive possone riservare sorprese di ogni sorta, nel bene e nel male, nel caso di “Molo 5” la fama è assolutamente meritata.

Il calendario degli incontri, sempre al mercoledì, è curato nei dettagli: lezione pre milonga con professionisti di livello, stesso discorso vale per i musicalizadores. Stefania è una padrona di casa come piace a me, “vecchia scuola”, ti accoglie, introducendoti agli amici che non conosci, assicurandosi che gli ospiti stiano bene, si divertano, socializzino. Stefania sceglie sempre con competenza e criterio chi invitare a suonare e a tenere la lezione pre milonga, non è cosa di poco conto.

Il caldo di questa seconda metà di agosto è passato in secondo piano, perchè la musica di Coppola ha rapito tutti i presenti, facendoci ballare senza sosta, sudati in modo imbarazzante, senza pudore alcuno, a macinare tandas su tandas.

La pista è grande, comoda e permette a tutti di esprimersi nei movimenti senza dare noia agli altri, per me un valore assoluto.

Molo 5 a Marghera è il compromesso ideale per i ballerini del Triveneto con punte di audaci dall’Emilia Romagna e oltre, a dimostrazione che – la qualità dell’organizzazione/servizi- attrae persone che si accollano anche una trasferta impegnativa.

Scrivo quanto scrivo con una lacrimuccia poiché, per la sottoscritta, sarà molto complicato tornarci con una certa continuità, a casa alle 4.00 del mattino, non ho più l’età per svegliarmi alle 7.00 ed andare in ufficio. Ma voi… fatevi un regalo: i mercoledì estivi una tappa al Molo 5 vale sicuramente il viaggio!

Pimpra

ZIBALDONE DI MEZZA ESTATE

Bracciate lunghe, distese sull’acqua a specchio della piscina comunale, mattino presto, forse troppo per una giornata di festa. Immagino che l’intero volume di liquido azzurrognolo rimarrà a mio uso esclusivo.

Le braccia iniziano a mulinare dolcemente, i muscoli silenziosi si nascondono sotto la pelle, a voler dichiarare il giorno di festa. Poco a poco, vasca dopo vasca, li sento con me.

Nuotare è immersione in se stessi, nelle profondità più nascoste. Nel ritmo regolare del respiro, una piccola apnea interrompe la presa d’aria tra una bracciata e l’altra lì dove si appoggiano i pensieri, alghe multiformi che compaiono dal fondo.

Una meditazione consapevole, attiva o in totale silenzio, nel vuoto. A fare compagnia solo il numero delle vasche concluse, una dopo l’altra, come un metronomo assonnato.

Sessanta minuti, non reggo di più, nè fisicamente nè mentalmente. In un guizzo sono fuori e da pesce torno anfibio più sgraziato di quando scivolo sull’acqua.

E’ ferragosto e la piscina si riempie lasciandomi basita, non sono tutti in giro a fare festa, grigliate, frizzi e lazzi. Tanti come me, in compagnia dell’acqua e delle bracciate che la fendono.

Nuotare per un’ora è pochissima cosa, ma produce una gloriosa voglia di caffè latte. Il rito è concederselo, ancora a capelli umidi, nel bar del centro cittadino.

Trieste si presenta in veste nuova, scalo turistico di grandi navi da crociera che Venezia ci ha passato. Fatico ad abituarmi alle orde di crocieristi sbarcati a caccia di souvenir, tempo contato per lo shopping, un passaggio veloce ad assaggiare qualche proposta gastronomica locale. Li osservo sgusciarmi dinnanzi agli occhi mentre, cellulare alla mano, geolocalizzano i siti di loro interesse, alzano il naso al cielo, fanno il loro dovere di turisti insomma.

Il cappuccino alla soia inonda la mia bocca avida di caffeina, al primo sorso già mi sento appagata, il resto, lo centellinerò con calma.

Oggi è il 15 di agosto non è più tempo di fare progetti ma di viverli.

Guardo la tazza vuota. La mia risposta è lì.

Pimpra

FREE THE NIPPLE. SI’ MA…

In questa calda estate, mentre rientro dal lavoro a piedi concedendomi una camminata flâneuse, ho notato sempre più di sovente, giovinette adolescenti e giovani donne indossare striminzite e aderenti magliettine, senza reggiseno.

Non ho potuto non notarlo, poiché, dinnanzi al mio sguardo, ho assistito alla danza tremolante del seno e dei capezzoli che, come occhi, giravano lo sguardo da una parte e dall’altra.

La prima volta che mi sono imbattuta in tale spettacolo ne sono rimasta incantata ma, al ripetersi comune di tale danza, quasi non ci faccio più caso. Vero è che sono una donna eterosessuale e che le tette non mi muovono gli ormoni. Non credo lo stesso ragionamento valga per un maschio.

Le giovani, giovanissime, portatrici sane di acerbo splendore mettono in mostra una parte del corpo di indiscussa bellezza, sono la prima a dirlo, ma non posso non pensare a un certo tipo di conseguenze.

Le vedi camminare che sembrano nude, ma non lo sono, in quel malizioso gioco di vedo e non vedo che cattura lo sguardo e l’interesse più di un corpo totalmente svelato. Seni alti, piccoli, rigogliosi, capezzoli puntiformi o maestosi, forme e dimensioni che la natura ha creato giocando con le possibilità.

In questo spettacolo, distolta l’attenzione dal corpo, osservo le dinamiche che si creano intorno a queste piccole donne: sguardi felini, predatori, bavosi di alcuni1 maschi che incontrano nel loro percorso. Sembrano lupi e le giovinette indifesi agnellini.

La libertà di essere e di esprimersi è un diritto ma, se fossi madre di una di loro, qualcosa vorrei dire loro. Il gioco della seduzione, il piacere di mostrarsi provocanti e impunite, libere e selvagge ha bisogno di maggiore consapevolezza che altro non è che una scelta più oculata su chi fare avvicinare.

Questo mi preoccuperebbe se fossi un genitore.

E questi giovani uomini, come percepiscono il potere del corpo delle donne? Con rispetto, con desiderio, con un sentimento di cura? Bisognerebbe chiederlo a loro.

Quanto al mostrare/mostrarsi a parer mio qualcosa toglie alla curiosità: quello che c’è non è più celato, il mistero svelato da subito. Perderei immediatamente la curiosità della conquista ma faccio parte di una generazione molto “antica”.

E voi che ne pensate FREE THE NIPPLE oppure no?

Pimpra

IMAGE CREDIT DA QUI

  1. In origine il post riportava la frase “sguardi felini, predatori, bavosi dei maschi che incontrano nel loro percorso. Sembrano lupi e le giovinette indifesi agnellini.” Accetto il suggerimento dell’amico Riccardo Galasso su FB che propone di scrivere ALCUNI maschi. ↩︎

12 ORE DI TANGO. MA PERCHE’?

Giovedì. E’ trascorso un giorno e mezzo dalla “mia” 12 ore, in realtà “solo” 6 ore. Sto iniziando a riprendere il corretto ritmo circadiano sonno/veglia, benchè punteggiato – ancora! – da insistenti sbadigli.

Giunta quest’anno alla sua 15 edizione, la kermesse “triestina”, in realtà in quel di Sistiana per dovere di geolocalizzazione, continua a richiamare appassionati, anche foresti. Ottimo per il movimento tanguero regionale, in specie, triestino.

In tanti mi hanno scritto per accertarsi che la comunità tanguera oriunda partecipasse a questa milonga “doppia”? si potrebbe definire così? per essere vieppiù certi di trovare pane per le loro zanne affamate di tandas indimenticabili.

C’è sempre un particolare fermento quando si avvicina la data fatidica, “tu ci sarai? quando pensi di andare?” e domande simili.

Questa tipologia di evento non è affatto rara, se ne organizzano parecchie in ogni regione italiana e all’estero ovviamente, ma per i triestini e non ha un sapore particolare.

La nostra 12 ore scandisce inesorabile l’arrivo del culmine della stagione estiva, avendo luogo esattamente la settimana che precede ferragosto, indicando l’inizio del lento avvicinarsi di settembre e del cambiamento di stagione.

Sono ben 15 anni che gli amanti del tango si danno appuntamento a Sistiana, nell’incantevole baia che con le sue falesie e il respiro della risacca, contribuisce a rendere unici gli abbracci scambiati in pista, aggiungiamoci la falce di luna e un bel venticello di borino a raffrescare gli animi roventi e abbiamo lo scenario perfetto!

Ma perchè 12 ore? Cosa andiamo mai cercando per sottoporre il nostro fisico a una tenuta così pesante, a tante ore di ballo? Dalle prime luci del tramonto fino a quelle dell’alba?

Mi sono data più spiegazioni: dal tramonto all’alba è una meravigliosa metafora del cerchio della vita celebrata dentro un abbraccio, godendo dei colori rossastri del sole adagiato sul mare e delle luci acquerellate dell’alba.

E’ una prova fisica importante ballarle tutte e 12 le ore, può essere una sfida per i più audaci, il desiderio di dimostrare a se stessi di poterlo fare.

Fame, desiderio, curiosità che esplodono al loro meglio con più tempo a disposizione? Chissà forse per taluni è così.

Personalmente la mia formula esce dal paradigma 12, poichè me la vivo a metà, per me 6 ore sono più che sufficienti. Ma non scelgo mai delle ore a caso. Arrivo dopo la mezzanotte, con il corpo ancora addormentato (mi scuso con i primi ballerini che mi hanno invitata!), entro nella notte come fossi un gatto, delicatamente i piedi diventano polpastrelli ovattati e il corpo inizia a rispondere a musica e abbracci. La mente si perde ed è come se, ballando, riprendessi a sognare, ma ad occhi aperti.

L’alba arriva dolcemente accarezzando gli occhi ancora abituati alla notte. Foto di gruppo di rito e, come tanti pipistrelli, voliamo alla ricerca del buio e di un buon sonno ristoratore.

Pimpra

DATEVI UNA REGOLATA. #ditantointango

Avete presente il traffico congestionato stile esodo di ferragosto, le lunghe code, il fastidio di quelli – disgraziati! – che pensano di avere il diritto di arrivare in villeggiatura prima di te, ecco, è quello che ancora accade in certe milonghe.

E’ passata una settimana dalla serata in uno dei luoghi sicuramente più entusiasmanti dove ballare a Trieste, quello che noi locali chiamiamo ancora “Cantera” che ad oggi è stato rinominato “Base Sistiana”.

Un musicalizador meraviglioso che non era possibile pensare di star sedut*, meteo bizzarro come l’estate che stiamo vivendo e quindi utilizzo esclusivo della sala interna. Mica piccola sia chiaro. Pavimento adatto, nuovo piacevole allestimento, non fosse per quella assurda luce sulla pista che rendeva gli abiti fosforescenti (il mio caso – sorvolo sull’imbarazzo).

Osservando la ronda-fracassina, ricordo di aver pensato “meno male che non ballo da leader”, garantisco che una pista più maleducata fatico a ricordarla. Allora mi chiedo: PERCHE’.

Se esiste quella che si chiama ronda un motivo ci sarà: si gira IN TONDO, non si fanno i zig zag, non si supera a destra e a manca, non si centra la coppia che precede o che segue. Si balla, si rispetta il flusso, come si fosse fatti d’acqua.

I principianti devono stare nel cerchio interno, perché è loro sacrosanto diritto prendersi il tempo per ragionare sul da farsi- passo, musica, ballerina, e, allo stesso modo, per lasciare spazio ai più avanzati di procedere con maggiore fluidità nel perimetro esterno.

Non è difficile, lo capisco pure io che con numeri/geometria e scienza esatta faccio a pugni!

Questo roteare informe, farcito di fretta ingestibile, ha reso, quella che poteva essere una serata strepitosa, un incubo.

E così non va bene per niente e non lamentiamoci poi, se i pochi foresti che passano da noi a ballare, non tornano più. Per tutti, si rende vieppiù necessaria la patente del milonguero. Ecco, l’ho detto.

Pimpra

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COME UN SOGNO DI ALTRI TEMPI: LA MARATONGUERA.

Ci sono luoghi che, appena li vedi, ti vibrano dentro come se ti sentissi a casa.

Arrivo a pomeriggio inoltrato accompagnata da una brezza di mare che riconosco molto bene, un bel venticello teso, fresco e piacevole che toglie di dosso la stanchezza delle lunghe ore di viaggio e l’arsura di questa estate da poco iniziata.

Le note sono già nell’aria e danzano lievi come i filamenti di un soffione rendendo quel primo impatto ancora più suggestivo.

Sono alla mia prima Maratonguera, incredula di poter finalmente apprezzare di persona quel luogo così particolare affacciato sull’acqua. La realtà supera di molto l’immaginazione e mi procura un’emozione forte come al primo appuntamento con l’amore.

La formula è perfetta: si balla ininterrottamente dalle cinque del pomeriggio a notte inoltrata, chi non ce la fa, si concede una pausa gaudente, tra il buon cibo dell’antica locanda “Il pilota” che allestisce i tavoli a ridosso della pista così che, volendo, tra una portata e l’altra, ci si possa concedere proprio quella tanda speciale lì che è un peccato perdere.

Arrivare in milonga a pomeriggio inoltrato è una strategia ideale che permette agli ospiti di dedicarsi al mare/turismo senza quel retro pensiero di “mi sto perdendo qualcosa la pomeridiana è già iniziata”. E poi, diciamocelo, regala un tempo di recupero utilissimo dalle fatiche del giorno precedente.

Il luogo ha il sapore di bei tempi andati, si balla su tessere di mosaico come si usava posare negli stabilimenti balneari degli anni ’50. È perfetto, cosa posso dire, i piedi non ci provano neanche a lamentarsi che la superficie è dura perché ci pensano gli abbracci, la musica, i sorrisi di tutti i partecipanti a lenire qualsiasi acciacco. E poi c’è il brufen, ma questo i tangueros esperti lo sanno già!

Ad ogni modo l’impianto scenico è nullo se non è animato da quella sana accoglienza che impronta di sé ogni evento ben riuscito e questo lo è stato senza dubbio. Si sa che molta parte dell’atmosfera è data dai padroni di casa e di certo Marcella e Flavio e il loro staff, sanno bene cosa significhi ricevere.

Un miscuglio meravigliosamente stimolante di stili di tango diversi, di persone gioiose e sorridenti in una cornice che regala un sapore di vacanza al mare. Ma che vogliamo di più? Ne vogliamo ancora!

Pimpra

IL TANGO NON MENTE

Ho preso la sana abitudine di ascoltare il podcast di una coach americana, tale Mel Robbins, mentre mi accingo a fare la passeggiata quotidiana che mi porta in ufficio. Trovo sia un eccellente modo di sfruttare 30 minuti della mia giornata ascoltando argomenti interessanti, esercitando al contempo una lingua straniera.

L’argomento di oggi: il linguaggio del corpo, tema per la sottoscritta, estremamente affascinante, come lo sono tutte le discipline che indagano l’essere umano, nella psiche e nel fisico.

Il corpo non mente assioma condiviso da tutti, saper leggere i micro segnali che esso invia (lo fa 5” prima della parola), è strumento potente per comprendere chi si ha di fronte.

Ho provato ad immaginare tutti i segnali che ricevo quando ballo con qualcuno e pure quelli che io stessa – il più delle volte inconsciamente- invio agli altri.

Facendo mente locale, la prima cosa che ho pensato è che, con un po’ di esercizio all’ascolto, dai primi secondi in cui tocchiamo la mano dell’altro, anche prima di abbracciarlo, inizia il processo di decodifica e interpretazione dei messaggi fisici.

Trovo molto interessante che lo facciamo senza accorgercene, lasciando semplicemente accese le antenne di ricezione che parlano in linea diretta anche al nostro subconscio.

È lì che ce la giochiamo senza saperlo (a livello cosciente), perché, gran parte delle nostre “voci” interiori che si esprimono in atti, in gesti e poi in parole, trovano casa in queste nostre profondità.

Se accettiamo questo postulato, allora è molto più facile capire la diffidenza di taluni, l’ansia di talaltri, così come pure la gioia, la seduzione e tutte le sfumature che possiamo leggere, percepire, immaginare passino dentro un abbraccio tanguero.

È questo tipo di approccio fisico che il tango regala che è capace di sconquassare le fragili pareti delle maschere che ci siamo costruiti strada facendo, perché, e lo sappiamo molto bene, nell’abbraccio c’è tutto: noi e la nostra essenza, senza finzione e senza sconti.

Rileggendo con questa lente come ho ballato ieri sera alla pratica (malissimo – ahimè), ho interpretato in modo diverso i messaggi che il mio subconscio mi ha trasmesso, li ho accolti e, al posto della frustrazione mi è entrata una sensazione di “ok, tranquilla, posso lavorarci su e sistemarla questa faccenda. C’è rimedio, non è tutto da buttare”.

Prestare un ascolto diverso a quanto ci accade come singoli tangueros e come coppia (ovvero i due singoli danzatori che uniscono l’abbraccio per la tanda) può essere una ulteriore chance per la crescita individuale, soggettiva e di ballerini, che ci permette di resettarci in modo consapevole anche durante la tanda, al fine di far fluire al meglio il dialogo danzante.

Alla fine torna sempre un concetto: osservazione, ascolto attivo, desiderio di comunicare.

Per oggi il pippolotto è finito, ballate in pace. 😀

Pimpra

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LA COPPIA NEL TANGO. Più costi o più benefici?

Argomento stuzzicante la coppia sentimentale nel tango.

Se ne vedono moltissime nell’ambiente, se ne formano altrettante e… per equilibrio cosmico, un buon numero scoppia.

È un bene o è un male essere una coppia e ballare il tango? È un rischio o un’opportunità?

La prima risposta che mi viene in mente è: ognuna di queste.

In prima battuta i vantaggi sono indubbi:

  • si frequentano insieme i corsi/stages/lezioni
  • ci si iscrive agli eventi e di solito si entra
  • si possono condividere le spese
  • si viaggia in compagnia

Poi però ci sono aspetti che cominciano a delinearsi e che, non sempre, vestono il rosa del “va tutto nel migliore dei modi”. Spesso, il tango per la coppia, è come un catalizzatore di quello che non funziona, a partire dalla comunicazione.

Si vedono a lezione le coppie che si prendono a male parole, che litigano per incomprensioni su un movimento, sulla sua esecuzione. E tornano a casa ancora più frustrati quando non arrabbiati, con i volti scuri.

L’altra faccia della medaglia è rappresentata dagli innamorati della prima ora che, a lezione pur non capendo una cippalippa di quanto richiesto, si guardano in faccia con gli occhi a forma di cuore. E se ne tornano a casa, ancora più contenti di come sono arrivati.

Ciò che fluisce o che trova ostacoli nella coppia tout court, il tango tira fuori. A quel punto non si può fare finta che tutto funzioni, perché non è così.

Inserisco questo aspetto in quelli che definisco “rischi” ma che, a ben guardare, risulta una incredibile “opportunità”: di riparlarsi, di trovare il modo di comunicare ancora, di ritrovarsi.

Avere un partner sentimentale con cui condividere la passione tanguera può sicuramente contribuire a scrivere la cifra stilistica della coppia tanguera: gli amanti danzano la loro relazione, le loro affinità, il loro modo di stare insieme. Esce tutto: l’energia vibra forte, l’abbraccio è catartico, l’espressione corporea esprime un sottile legame, una profonda complicità, una intimità radicata. Mi sembra indubbiamente meraviglioso ballare una tanda, esprimendo e godendo di tutto questo.

Possono, in taluni casi e circostanze, entrare dei rumori di fondo, come la gelosia, il fastidio come se qualcun* entrasse a casa nostra senza essere invitato. Lì la coppia deve essere forte, ben strutturata per affrontare questo genere di “sfide relazionali”.

Ne ho visti tantissim* cadere, sedott* da uno sguardo più torbido ed emozionante della loro quotidianità senza onde. Cedere alle sirene di un abbraccio sconosciuto ed avvolgente. Anche questa è vita, non resta che accettarlo. Il tango accelera i tempi: se la coppia è destinata a scoppiare, lo fa con anticipo.

Ho in mente meravigliose coppie che, al contrario, nel tango hanno trovato un cemento che ha reso ancora più solida la relazione, regalando momenti di gioia condivisa, di stimoli funzionali a nutrire un percorso insieme rendendolo nuovo ogni giorno.

Ho pure negli occhi molti tanguer*s rifiorit* dopo la chiusura di una relazione divenuta arida.

Concludendo, specie per tutte le amiche che non hanno mai provato il tango in coppia, credo che sperimentare cosa significhi ballare con il proprio partner sentimentale, sia un’esperienza potente, molto emozionante ma, aggiungo, non per tutti.

Pimpra

IMAGE CREDIT: UNUSUALLENS.COM

IO BALLO DA SOLA. Punti di forza, di debolezza, le opportunità e le minacce.

Che il tango non fosse un ambiente “democratico” l’ho sempre saputo, quando misi per la prima volta piede in una milonga. Passai molti anni di lotte interiori prima di accettare e comprendere le dinamiche dell’invito ed altrettanti anni a combattere con certe logiche non premianti, non meritocratiche che pure si esprimono in milonga.

Il mio ingresso nel mondo tanguero l’ho fatto con il ballerino di allora e l’ho continuato, per molti anni, con un successivo partner. La ruota del tempo gira portando con sé il cambiamento, massima espressione di vita, sono quindi diventata una ballerina senza partner.

All’inizio ho fatto fatica a riconoscermi nel mio nuovo status, dentro di me, da qualche parte, era come se avessi perso qualcosa. Non posso negare che l’abbraccio che mi aveva accompagnato per lunghi anni in molte ore di ballo, rappresentasse oramai la mia “casa” del tango e quindi, le prime volte, il distacco è stato piuttosto pesante. I nuovi abbracci però hanno fatto il loro dovere, ridefinendo la nuova tanguera che sono diventata: felice senza partner fisso.

A tutte le amiche che si riconoscono nella mutata situazione o che non hanno mai avuto un ballerino con cui allenarsi e ballare con assiduità, dico che non tutto il male viene per nuocere. Vi spiego il perché.

Partiamo dalle MINACCE. Che si intendono qui, ovviamente, in senso metaforico.

Non avere qualcuno con cui studiare/ballare con costanza può sicuramente limitare le possibilità di:

  • frequentare un corso con un partner di qualità (di solito sono già impegnati)
  • iscriversi ad eventi di livello più alto (mediamente finiamo in “waiting list“)
  • poter lavorare sulla definizione del proprio stile personale di ballo. (La ballerina tipicamente seguidora avrà probabilmente un po’ meno problemi di un ballerina dal carattere danzereccio più “spinto”).

Quanto ai punti di DEBOLEZZA, a mio parere, vanno a toccare maggiormente la sfera emozionale della donna, ovvero:

  • Non essere invitate perché ci “cade la faccia”, quando nessuno ci vede, ci nota, ci invita.
  • Non avere la possibilità di dimostrare le proprie capacità, l’espressività, la competenza, chi siamo in termini di tanguere perché balliamo con partner che non vogliono rischiare e quindi richiedono una personalità più delicata quando non accomodante
  • inutile aggiungere che a tutte sarà capitata almeno una volta la sindrome del “brutto anatroccolo” che sono brutto e nero e non mi vuole nessuno (e così restiamo per davvero a fare tappezzeria per l’intera serata).

Essere una ballerina senza partner offre, in realtà, delle incredibili opportunità.

Se saprò trovare la lezione in ogni brano ballato con ogni persona con cui intreccerò il mio abbraccio, diverrò sicuramente una tanguera migliore.

La motivazione (punto di forza) di crescere ed imparare mi porterà a cercare il miglior elemento per lo studio in quel momento storico della mia formazione.

La cerchia delle amicizie tanguere subirà un impulso notevole, regalando, oltre al piacevole momento della milonga, deliziosi e divertenti “fuori pista”.

Psicologicamente costringe a guardarsi dentro, costringe a tirare fuori l’energia vitale, obbliga al confronto con i propri demoni (se ci sono) per poterli rendere innocui. Rende la donna completamente indipendente, meravigliosamente avventuriera, libera come un refolo di bora.

Amiche care, mai mi stancherò di dire quanta fantastica vita c’è dentro il tango. Andiamo a prendercela tutta.

Lunga vita alla Giaguara!

Pimpra

IMAGE CREDIT: frame da foto di Mauro Tonkic

APPUNTI TANGUERI.

Il fine settimana lungo di aprile traghetta nello splendido mese di maggio, dove fioriscono rose e spose mentre la primavera ancora non ha fatto capolino.

Per quasi tutti la piccola sosta consente di aprirsi a una piacevole occasione di relax, di gite fuori porta e grigliate con amici.

Il concetto di “pausa” è ignoto al tanguero di tipo errante o stanziale: dove c’è un ponte o un fine settimana allungato, c’è una ghiotta occasione da non farsi sfuggire, un evento imperdibile, una milonga di quelle giuste.

Anche se l’armadio urla “cambio di stagione”, l’appartamento “mettimi in odine”, il balcone “occupati di piante e fiori”, la crew felina “vogliamo stare tutti in compagnia”, pure la sottoscritta non è sfuggita alla sacra regola: A BAILAR!

Con una organizzazione del mio tempo libero degna di una “bionda e svampita”, ho pensato bene di recarmi per due giorni di fila, a due eventi lontani 250 km da casa, facendo ritorno all’ovile dopo ogni serata. Due conti alla mano, circa 5 ore di macchina per ballarne al massimo 6. Irrazionalità allo stato puro. Ma tant’è.

La prima pomeridiana qui, mi ha sorpresa per la spumeggiante offerta musicale che, per la prima volta, mi ha fatto soffermare sull’importanza delle cortinas a cui, in precedenza, non avevo mai dato particolare peso.

La musica, nella mia testa famelica di tango, partiva dall’inizio brano alla scansione delle tande previste, pausetta e via un nuovo giro, una nuova corsa. Il tempo in mezzo l’ho sempre vissuto come “funzionale a”: tornare al posto/cambiare posto/mirare/riballare.

Invece, nel dì del 30 aprile dell’anno del Signore 2023, ho capito che una cortina ben pensata, è un catalizzatore emotivo/energetico/d’atmosfera che prelude e prepara alla tanda successiva. La pomeridiana, benchè sovraffollata, con la pista che buttava in caciara per l’entusiasmo fuori controllo dei danzanti, ha regalato un su e giù energetico coinvolgendo i presenti in una buonissima onda come non ricordavo da tempo.

La cortina dava l’accordo, la tanda completava il movimento.

Il giorno successivo, nella mia personale maratona più chilometrica che tanguera, ho festeggiato il primo maggio, in quel luogo pazzesco che è lo spazio Orvett. Ogni volta che vi ho ballato, sono tornata a casa appagata, l’atmosfera del luogo unita alla cordialità del gruppo degli organizzatori, rende la festa una bellissima festa.

Inizio il mio martedì di maggio con un solo miraggio davanti agli occhi: una dormita di almeno 6 ore.

E da domani si ricomincia…

Pimpra

IMAGE CREDIT: GAZ BLANCO

Ps: l’abito dell’immagine un modello di Modecreator Quincedemayo Anita

RIPARTO DA ZERO. #ditantointango

Chi smette di studiare è perduto.

In ogni settore della vita, dal lavoro agli hobby, allo sport. La necessità di mettersi sempre in gioco per alzare l’asticella, non dando per scontate capacità o doti personali, senza sedersi mai su presunti allori di obiettivi raggiunti.

La vita è un lungo cammino da riempire di piccoli e grandi traguardi, di sfide accettate e vinte, costellato da cadute clamorose e da giorni zero, quelli in cui si tira una linea e si riparte.

Nei giorni scorsi, grazie a un incontro che ho fatto per caso, vedendo il video di una ballerina che mi piace molto, ho scoperto chi fosse la sua Maestra, la prima, quella che ne ha definito le fondamenta e l’ho contattata.

In realtà ci eravamo già incontrate in milonga ma non avevamo avuto l’occasione di parlarci, di conoscerci meglio.

Le domande che mi ha posto relativamente a cosa cercassi nella lezione mi hanno immediatamente fatto comprendere che ero nel posto giusto, con la persona giusta. “Sento che qualcosa non va, credo si tratti di questo e di quello, vorrei che il mio tango fosse così, ma non so esattamente. Ti chiedo solo la verità, non farmi sconti, anche se è tutto da ridefinire”.

Con tatto, maieutica, spiegazioni verbali e fisiche talmente chiare, mi ha fatto capire senza alcun dubbio su cosa devo lavorare.

Dopo quasi 20 anni, sono pronta a scavare nuovamente le fondamenta della mia casa, lo faccio con gioia, con umiltà e pure con gratitudine.

Il tema dell’esprimere un giudizio tecnico/artistico agli allievi è sempre piuttosto complesso per chi, nella professione, insegna una materia che rientra nel campo semantico del “tempo libero” si tratti di un hobby, di un passatempo o di una disciplina sportiva o artistica.

Quale è il limite in cui l’insegnante può spingersi a correggere gli errori?

Non è una questione di poco peso, poichè per il docente gli allievi sono fonte di entrate, di qui il rischio di esporsi con verità che potrebbero risultare sgradite.

Faccio parte di quella schiera di vecchi atleti abituati ad essere ripresi dai loro allenatori, perciò dal mio insegnante mi aspetto questo: che mi corregga e se devo ripartire da zero, riparto da zero.

Ancora una volta il tango mi insegna la vita.

Una nuova linea tracciata, un nuovo inizio. Nuove scoperte, nuove avventure.

Quest’anno mi sta insegnando che nello zero c’è l’infinito. L’infinito delle possibilità.

Che meraviglia!

Pimpra

IMAGE CREDIT: frame da immagine di Marco Piemonte

IL RESPIRO DEL TANGO.

Ieri sera, in compagnia di amiche non tanguere, raccontavo di tango. Le dinamiche dell’invito, la mirada, l’abbraccio, la musica. Incantate dalle mie storie, più di una volta hanno affermato con certezza che mai sarebbero capaci di cimentarsi nel sensuale (a detta loro) ballo.

Morale: abbiamo organizzato un weekend in campeggio dove farò provare i primi passi. Gli ettolitri di birra croata sono certa aiuteranno i partecipanti a superare eventuali tabù.

Nel mentre, mi sono riaffiorate delle immagini, sonore questa volta, relative agli ultimi eventi a cui ho partecipato.

Il respiro del tango: non è un caso il titolo del post, credo di non aver mai letto nulla a proposito.

Ne parlo riportando la mia percezione da sportiva.

Quando ballo una milonga al fulmicotone, piuttosto che una tanda languida, non posso fare a meno di percepire il… vivace respiro del leader. Ovvio stando così a contatto, ma un conto è respirare normalmente un conto è ansimare.

Ansimare nel tango.

Non è la versione argentina di 50 sfumature di rosso, è la versione nostrana di un* ballerin* in affanno. Punto. Fame d’aria, polmoni poco espansi, bassa soglia aerobica, in una parola fisico non allenato a sufficienza.

Le emozioni sicuramente, in taluni casi, concorrono a “tagliare il fiato” di color* che sono più sensibii, ma non è possibile che ogni tanda procuri tale effetto.

I ballerini competitori debbono sostenere la visita di idoneità agonistica, elettorcadiogramma sotto sforzo, spirometria, misurazione della pressione ecc ecc, un motivo ci sarà. Ballare è a tutti gli effetti anche un’attività sportiva!

Bailar el tango es como caminar” sticazzi, perchè se cammini per 6 ore di fila, cambiando costantemente ritmo, fai fatica come se corressi una 10 chilometri!

Tutto questo per stimolare quei tangueros, uomini e donne, che – quasi da subito- respirano piuttosto affannosamente nell’orecchio del partner, manifestando chiara sindrome da affaticamento.

A me succede sempre di ascoltare il concerto ritmico del respiro del leader che si fa più veloce, più corto, più affannato. Non mi dà fastidio, sia chiaro, ma – confesso – a volte mi distrae perchè penso “Mamma mia ma non gli verrà mica un coccolone?”, sposto immediatamente il pensiero nefasto, rasserenandomi sul fatto che conosco molto bene le prime manovre di rianimazione, anche se mai vorrei metterle in pratica.

Ballare molto, specie per coloro che da un pezzo hanno superato gli anta, facendo le ore piccole, magari dopo settimane di lavoro stressante e problemi vari, fa certamente strabene all’umore ma, attenzione, può minare un fisico non sufficientemente preparato.

Io cerco di correre, se non riesco perchè ho qualche acciacco che me lo impedisce, cammino molto, a passo svelto cosicchè la pompetta sia sempre in esercizio e i polmoni pure. Inoltre, le attività aerobiche fatte all’aria di solito utilizzano i piedi, rinforzandoli aiutandoci anche a spingere meglio quando balliamo.

Il pippolotto è finito, andate in pace.

Parola d’ordine: riguardatevi, allenatevi e ballate.

Un bel sospiro di piacere, di seduzione, di apprezzamento intimo – credetemi – poggia su note vellutate ben lontane da un ansito. Poi vedete voi…

Pimpra

PS: se poi il rantolo del* tanguer* è condito da afflati alcolici… vabbè ma che ve lo dico a fare…

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ETDS 10: LA GLORIOSA

Mi sono fatta un’idea: se un evento tanguero scollina le 10 edizioni , significa che è per forza un evento di qualità, un evento amato, una pietra miliare nell’immensa offerta ricreativa del settore.

Mi sono fatta un’altra idea: se l’evento si svolge nella terra di Emilia-Romagna, è praticamente una garanzia di successo.

Mi sono fatta un’idea ancora: se l’evento dura una serale e due pomeridiane (ed eventualmente after party) è il top.

Sono stati due giorni molto speciali per la sottoscritta, dove ho abbracciato e respirato un tango assolutamente Amico, animato da una selezione musicale di assoluto spessore e privo di quei “fastidi relazionali” che, a volte, si incontrano in pista. Chi va in Emilia-Romagna trova uomini e donne che vogliono ballare assai e, certamente desiderano – come sempre accade- farsi la tanda super special con quell* “famos*” o più “bell*”, più “ggiovane” ma, oltre a questo, considerano nei loro inviti tutt*gli altr* partecipanti alla festa. Esatto festa, perchè è quello il sapore che prende un incontro in cui tutti i presenti esistono agli occhi degli altri.

Un vero piacere il tango “sociale”, un evento “facile” come direbbero i più giovani. Evviva dico io, la gioia di abbracciare senza limite, nell’entusiasmo di condividere passione, musica, allegria di passi, sorrisi tanti proprio tanti sorrisi.

ETDS in questa edizione ha visto partecipare un nutrito gruppo di miei conterranei che non potevano credere ai loro occhi, alla magia di una mirada andata a segno senza doversi impegnare in incredibili peripezie, un sorriso ammiccante e via a ballare, a godere.

Sottotitolo LA GLORIOSA. Mi sembra il termine migliore per definirla questa decima edizione, ricca, accogliente, assolutamente generosa.

Due pomeridiane e una serale sono l’ideale mix per il popolo tanguero della mia generazione: quelle sei ore abbondanti di fila nel pomeriggio, un ulteriore assaggio serale e via ancora con una pomeridiana la fulmicotone sublimata da una chiusura di tutto rispetto, per quelli più audaci, più forti o, semplicemente, liberi di dormire il lunedì mattina. 🙂

In tutta questa gioia che mi ha letteralmente avvolta, travolta e resa assolutamente felice, posso dire di aver sperimentto anche la mia chicca di tango siderale, quello che sta su un altro livello, partimonio di pochi eletti. Che fortuna trovarmi dentro quell’esperienza che, nell’arco di una manciata di minuti – sempre troppo pochi!- mi ha fatto sperimentare un significato, un sapore, una dimensione, di assoluta magia.

Sono pervasa di sensazioni potenti, di endorfine cangianti che hanno spazzato via la fatica esistenziale di quest’ultimo periodo.

ETDS è primavera, è rinascita, è l’abbraccio corale che si rinnova. Ne voglio ancora.

Pimpra

NO LEADER? NO PARTY! #ditantointango

La butto in caciara ma, in realtà, credo si tratti di un argomento pesante, specie per il pubblico femminile.

Non disporre di un partner di ballo. Praticamente l’80% delle donne danzanti che conosco vive questa condizione.

Non avere un parter fisso cosa comporta?

Sicuramente mette in gioco ed esalta le qualità di follower: ogni uomo un abbraccio, ogni uomo una lettura musicale diversa, con ogni uomo un mix fisico diverso. [BENEFICIO]

Starci, seguire, leggere tutte le sfumature, proprio perchè non si conoscono, non sono “casa”, di certo accresce molte qualità della tanguera: sensibilità, connessione. [BENEFICIO]

Ciò detto, mi vengono in mente cose:

  1. percorso di studio: sempre più complicato trovare qualcuno con cui studiare, e penso non solo ai corsi ma agli stages, alle private…
  2. stile personale: se la follower sente dentro di sè di avere qualcosa da esprimere come tanguera, chiamiamolo uno “stile personale” un po’ più spiccato che si distingue dal tipico canone di “seguidora”, fatta eccezione per alcune follower di dichiarato talento, per tutte le altre sarà ben difficile poter lavorare ed esprimere la loro cifra stilistica più personale
  3. la fame: le vedi in sala, in attesa di quello sguardo, di quel battito di ciglia che prelude una tanda. Affamate di tango, in perenne attesa di venir soddisfatte. Molto spesso se ne tornano a casa con le pive nel sacco, perchè… non abbastanza brave, non abbastanza seguidore, non abbastanza giovani, non abbastanza qualcosa.
  4. Eventi: no leader, (quasi mai) no party. Siamo troppe e loro, sempre troppo pochi. Liste di attesa, e tantissimi no.

Da 1 a 4 solo criticità.

Poi c’è tutta la sfera psicologica che si attiva negativamente quando la follower non fa parte della/e cerchie, perchè è una cosa che si sente sulla pelle appena metti piede nella sala che “stai fuori”. Puoi essere dannatamente brava ma se non fai parte del cerchio magico, avrai poche chances di giocarti delle tandas. Come si fa a dimostrare la propria bravura se non vi è l’invito.

Non si tratta di piangersi addosso, si tratta di trovare una soluzione.

Studiare, ma stavolta da leader. Studiare da paura in versione maschia. Le migliori lo fanno già da tanto tempo, sono ballerine di livello decisamente superiore, richieste dalle loro amiche follower e pure dai leader che ne riconoscono le indubbie qualità.

Ballare il tango non è un’attività democratica, non è come fare sport che se ti alleni migliori, magari solo rispetto a te stesso.

Ballare il tango ti sbatte in faccia la realtà della vita che se non sei in equilibrio sui tacchi e con te stessa, l’energia che emani è contaminata e tutti se ne accorgono, lasciando la malcapitata a fare da sfondo alla tappezzeria.

No leader, no party.

Non scambierei comunque, per nessuna ragione al mondo, il fatto di stare nel gruppo follower, non fosse per le mie amatissime scarpe con il tacco.

No leader? I’m the party!

Pimpra

ALLA RICERCA DELLA “FIRMA TANGUERA”.

Tra i molteplici benefici di avere una passione è quella di poterla condividere con gli amici. Se poi ci porta a spostarci, si creano delle situazioni da gita scolastica estremamente piacevoli, quando non esilaranti.

Nella macchinata che ha portato me e una coppia di meravigliosi amici, oltre che tangueros sopraffini, a raggiungere l’agognata meta della maratona, è stata occasione per ciarlare amabilmente di tango, ça va sans dire.

Le chiacchiere più interessanti sono sempre quelle che si fanno post evento dove si scambiano opinioni, esperienze e – normalmente- si condivide l’assoluta soddisfazione, unita al godimento, di avervi partecipato.

Il mio post maratona è come se avesse acceso tutte le lampadine del cervello, per gli enormi stimoli che ho ricevuto.

In questo articolo vi racconterò della “firma tanguera”, ovvero di quell’impronta assolutamente soggettiva e personalissima che ogni tanguer* lascia, o, a mio parere, dovrebbe lasciare.

Non si tratta della forma in cui si esprime la danza, non è questione di stile, non di preparazione tecnica, neppure di abbraccio è una sfumatura sottile, unica, personalissima che non tutti i danzator* riescono a scrivere.

Cerco di spiegarmi meglio: vi sarà capitato di riuscire – dopo lunga attesa- a ballare la tanda con quel particolare ballerin* con il quale da tempo desideravate ballare. Ebbene, alla fine vi resta un’immensa delusione, non determinata dalla incapacità del soggetto ma, semplicemente, dalla mancanza di un colore personale della sua danza che, all’interno dell’abbraccio, non avete percepito.

Una tanda che definisco “neutra”, non cattiva ma nemmeno particolarmente saporita, una pasta al burro, per cercare la metafora culinaria. Anche qui si può aprire una discussione: moltissime persone adorano la pasta al burro, anche la pasta al burro ha una sua dignità e un suo senso. Certamente ma… nell’economia di uno scambio molto frequente con tantissimi soggetti, la pasta al burro ha un’intensità che, probabilmente, la nasconde, facendola passare in secondo piano.

Tornando al concetto della firma, mi sono fatta l’idea che sia un fattore legato al carattere: la firma racconta di noi, non come ballerini, ma come persone. Ci sono soggetti che detestano mostrarsi, far conoscere all’altro chi sono una volta smessi i panni del tanguer*. Timidezza, riservatezza, altre ragioni, li portano a darsi nelle tande in maniera più “neutra”, privando così l’altro del piacere di fare la conoscenza ANCHE della persona che sta dietro al ballerin*.

Per firmarsi serve l’esperienza, lo studio, la pratica, tutte cose che restano imprescindibili in un buon tanguer* ma entra forte anche la dominanza soggettiva: mi scopro veramente, fingo astutamente, resto in silenzio, parlo a voce alta, mi esprimo sottovoce.

Personalmente in pista adoro chi mi racconta anche altro, mi parla della sua vita in qualche modo, solo abbracciandomi e portandomi nell’incredibile viaggio che può essere ogni tanda.

Forse firmare è legato all’empatia, me lo chiedo.

Ad ogni modo, la prossima volta che ballerete, provate a percepire se quanto ho scritto in questo articolo vi risuona, mi piacerebbe sentire la vostra opinione, se vi va.

Vado a prendere la stilografica… 😉

Pimpra

SI RIAPRONO LE DANZE. TOSCA TANGO MARATHON

Marzo è il mese delle gite scolastiche e della Tosca. Due certezze nella vita che non guastano, specie la seconda.

Mancavo dal lontanissimo 2019, in senso assoluto non è un tempo infinito, lo diventa se consideriamo tutto quello che c’è stato in mezzo, fortuntamente superato, alle spalle, dimenticato o quasi.

I segni degli ultimi terribili anni in realtà si sentono eccome. Un specie di ferita, rimarginata – certamente- ma ancora fresca, troppo fresca.

La villa monumentale e il suo parco accolgono gli ospiti nella consueta magnificenza, varcato l’ingresso gli amici di sempre, le Tosche e il team di supporto regalano sorrisi, abbracci e sguardi che raccontano il piacere e la gioia di ritrovarsi.

La Tosca è casa, non si discute.

Rivedere prima, rivivere poi gli abbracci a lungo lontani è un’emozione potente, capace di far sgorgare quel fiume incontrollato di sensazioni, di ricordi, di momenti incastonati come perle nella memoria.

Ho portato in valigia l’umiltà, dovuta, al mio periodo inglorioso di pausa. Inglorioso perchè, per ciò che si ama, ci si deve battere ed io mi sono lasciata sopraffarre, allontanandomi troppo, dall’oggetto del mio amore.

Ho portato in valigia la curiosità di osservare il cambiamento che è essenza implicita del tango. Sono rimasta sorpresa da quanto ha saputo raccontarmi.

Appoggio quanto sto per scrivere a una breve premessa che mi è utile per definire lo scenario. La Tosca è una maratona. Tradizione vuole che chi sceglie il genere si aspetti un certo tipo di partecipanti e di musica, andando alla ricerca di un’energia molto particolare, che spinge, sostiene, motiva, promuove l’impegno che ogni maratoneta mette nelle lunghissime sessioni di ballo.

La maratona non incontra i gusti di coloro che prediligono un genere di evento più “intimista”, raccolto, dalle vibrazioni molto soffuse – sebbene potenti ma, in qualche modo, interiorizzate.

Il maratoneta ha una testa e un ballo di pulsazione più marcata, nel senso che ingaggia, si muove molto, a volte rischia, spesso esagera. Per queste ragioni, deve essere tanguer* preparat*, dal momento che “la potenza è nulla senza il controllo”.

Il primo clamoroso cambiamento che ho percepito è stato nel linguaggio musicale. Ho assistito a sessioni in cui le tandas proponevano una ricerca di gesto necessariamente intimista e raccolta, ho ascoltato numerosissimi blocchi di brani con una venatura particolarmente malinconica, a tratti cupa, struggente, estremamente romantica. Il ritmo, le battute, senza guizzi come a dipingere un cuore stanco, provato da una lunga sofferenza.

Prima del buco nero degli anni Covid, il racconto in note durante la maratona era un’esplosione di colore: si ballava sulle onde di un mare molto mosso, seguendo un’onda che ti portava via veloce, lasciandoti senza fiato, senza forze ma carico di una gioia vitale che ricompensava ogni energia spesa.

Oggi è come se la gioia facesse paura, o fosse, oramai, una emozione di cui non fidarsi perchè – e lo abbiamo imparato a nostre spese – può esserci tolta da un secondo all’altro.

L’intimismo musicale si è tradotto in un messaggio diverso rimandato dagli abbracci che si sono fatti più avvolgenti e calorosi.

Ho goduto dei momenti in cui l’onda cresceva per poi lasciarmi cullare dalla sua morbida risacca, nel flusso di un respiro dolce.

Tutto cambia. A volte è faticoso accettarlo ma standoci dentro noi stessi diventiamo cambiamento e scopriamo nuove forme, nuove frasi, nuovi linguaggi.

Grazie, per una volta ancora, a questa maratona del cuore e a chi con fatica, cura e dedizione la organizza da 13 anni. Ogni edizione è una nuova scoperta.

Pimpra

#ditantointango LE CHIACCHIERE CHE FANNO MALE.

Chi è assiduo frequentatore di eventi, specie di quelli più lunghi, da weekend come le maratone, i festival, sa benissimo che, tra le ciarle a margine delle tandas, ci sono sempre i commenti più disparati sui partecipanti.

“Quell* è brav* ma non mi invita, quell’altr* se la tira e balla solo con i suoi, non capisco perchè quella (i commenti sulle donne, espressi dalle donne, sono sempre i più tremendi) balli così tanto che è una principiante, ovvio perchè è giovane e figa e ha pure le tette in mostra (ecc ecc)” vi risparmio.

Una sorta di analisi sociologico/comportamentale/sputtanatoria dei tangueros/as in pista.

Non si dovrebbe mai cadere dentro questo genere di trappole perchè tornano indietro come un boomerang.

Innanzitutto ognuno di noi partecipa per stare bene, per divertirsi, per ballare, per socializzare, chi anche per trovare una nuova fiamma. Quale che sia la motivazione l’imperativo categorico rimane uno: godersela. Vivere il momento della socialità con gaia apertura, con animo e cuore leggero. Così facendo, ovvero impostando il proprio asset mentale su pensieri positivi “Oggi starò bene, ballerò bene, mi divertirò” la modalità energetica si predispone correttamente, facendoci diventare sorridenti, aperti verso l’altro senza giudizio, senza ansia, senza paure senza sentimenti di frustrazione e men che meno senza retropensieri negativi.

Provate, funziona!

La PNL insegna che per il nostro cervello realtà e immaginazione sono la stessa cosa, il cervello non distingue i pensieri prodotti da situazioni “reali” e quelli solo immaginati. Provate ad andare in milonga, la prossima volta, immaginando che ballerete assai, godendo assai. Vi stupirete dei risultati!

Troppo spesso ho sentito donne, solo perchè nell’attesa di una tanda mi trovo tra il pubblico femminile, lamentarsi per questo e quello, criticare questo e quello per poi ritrovarsi inchiodate alla sedia che quasi nessuno si accorgeva di loro.

Siamo tutti animali sociali e, specie in contesti legati al ballo, andiamo alla ricerca di leggerezza, desideriamo non pensare ai problemi, al lavoro e a tutto ciò che nella nostra vita è difficile e pesante.

Parola d’ordine: leggerezza.

A chi mi ribatte “io ci vado in milonga con i bei pensieri ma poi nessuno mi si fila” rispondo che crede di avere bei pensieri, invece c’è un forte rumore di fondo legato ad ansia, preoccupazione, frustrazione, paura dell’insuccesso e queste sensazioni, malgrado ciò che crediamo, vengono percepite all’esterno, producendo effetti contrari a quelli sperati.

Mi sto perdendo in questo pippolotto, ma era tanto che non ne scrivevo uno, per esortare TUTTI a vivere pensando al lato positivo dell’esistenza, sforzandosi di trovare ogni piccola scintilla di bene. In sala da ballo i risultati saranno immediati, lo garantisco, e porteranno una sferzata di benessere di cui tutti abbiamo bisogno.

Teniamo sempre a mente che noi meritiamo di essere felici.

AMEN.

Pimpra

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GOOD VIBES ONLY

La giornata grigia e piovigginosa di dicembre, un lunedì per giunta, non aiuta a tenere gli occhi aperti sul mondo. Sono davanti al pc dell’ufficio con il corpo, solo con quello.

Sto inseguendo pensieri colorati, girandole di emozioni vibranti, spicchi di allegria scanzonata che mi hanno accompagnato durante il weekend bolognese.

L’Emilia Romagna è sempre un bel stare. Quale che sia l’ingrediente segreto non so di preciso, ma azzardo nel dire che sta custodito negli abitanti. A Bologna c’è casa, quella che sa di tortelli, di quintalate di carboidrati che ti mettono allegria per forza, di popolosa gioventù che i miei occhi non sono abituati a trovare.

I colori stessi della città, o quantomeno del suo centro, sono caldi e terrosi, a differenza dei toni ghiacciati del neoclassico di casa mia, all’estrema periferia “dell’impero”.

A Bologna si è, in totale pienezza.

Ho rimesso piede su un parquet dopo molto tempo, con l’anima in subbuglio, in un misto di adrenalinica emozione e un pizzico di ansia. Ho legato alle caviglie i laccetti delle scarpe preferite, ritrovando, nell’affacciarsi mogano dello smalto passato sulle dita, un punto di vista familiare.

Ero pronta e tremante, vibrante di una vita rimasta troppo a lungo come sospesa.

Le prime note sono entrate potenti e, senza pensarci, una mano amica mi ha condotto nei solchi di quella musica grassa di argilla e di stelle, e il mio corpo, come se nulla fosse, si è connesso.

Noi che abbiamo questo potente alleato nella nostra vita, dovremmo sempre ricordarci di onorarlo. Noi balliamo il tango, siamo dentro il flusso della sua vita che scorre, sempre, anche se a volte non la vediamo, come un fiume carsico.

Si è mostrato davanti a me, tremate e sudata, mi ha rincorso, abbiamo giocato insieme, a prenderci a nasconderci, insieme abbiamo suonato una nuova musica, la nostra, accompagnata dai diversi abbracci e dalle orchestre che creavano un prisma colorato di gioia.

Questi i doni che mi porto a casa, ebbra di me e di lui, di questo assurdo e fenomenale tango meraviglioso che mi ha sua. Per sempre.

La mia magia assoluta si chiama Amarcord. Perchè solo chi ama veramente, sa come si crea amore.

Grazie Antonella Fabio e crew per questo nuovo dono.

Pimpra

ONLYFANS. PRENDERE O LASCIARE?

Alla sera, mentre allestisco il desco felino e umano, mi diletto ad ascoltare “La Zanzara” di Cruciani e Parenzo. La deriva erotosessuale della trasmissione radiofonica, racconta sicuramente uno spaccato sociale che, volenti o nolenti, non possiamo fingere non esista.

Personalmente ritengo la sessualità di ognuno uno dei campi di maggiore espressione della libertà soggettiva nel senso che – fatta la premessa dell'”accordo tra le parti”- tra le lenzuola ognuno è padrone di viversi la cosa come meglio lo aggrada.

I tempi moderni, però, hanno portato una ventata incredibile di nuove possibilità. Se torno con la mente agli anni 80, la “formazione” dei giovani attraverso cosa avveniva? Esperienza reale, confronto con i coetanei, “giornaletti”, filmetti, credo nulla più.

Il massivo ingresso nelle nostre vite della rete ha esploso di possibilità il reperimento e lo scambio di sessualità.

Da adulta non mi pare ci sia nulla di male, non fosse che – forse- manca una certa cultura di base e un certo discernimento di fondo, ma non voglio di certo fare la bacchettona.

Arriviamo all’oggi, sono rimasta incuriosita dal fenomeno di Onlyfans, sito sul quale, ciascheduno di noi, può offrire al mercato globale una quota parte o l’intero di se stesso, declinandolo nelle mille mila sfumature che la sessualità e l’erotismo consentono, guadagnando, pare, cifre considerevoli.

La Zanzara, nelle interviste che propone quotidianamente, riferisce di giovani che sono entrati in questo mercato traendone immense soddisfazioni economiche.

Riesce incredibile pensare che esistano nel mondo persone interessate all’acquisto di contenuti virtuali di ogni sorta, ascoltate la trasmissione per farvene un’idea.

Il dibattito si accende tra i “liberali” e i “conservatori”, tra chi depreca l’uso del corpo a fini commerciali, chi – al contrario- non ci vede nulla di male.

Se fossi un genitore, e meno male che non lo sono, immaginare i miei figli impegnati a fare soldi su un sito del genere, mi creerebbe non poche perplessità, lo confesso. Ma, dal momento che non amo chiudere la mente, immagino che anche questa, possa divenire una “professione”.

Se proprio una persona sente delle pulsioni che la portano ad avvicinarsi a tale mondo, immagino che sia decisamente meglio diventare i manager di se stessi piuttosto che dipendere da altri, con le terribili conseguenze del caso. A sentire gli intervistati, avere un proprio profilo sul sito, li impegna a costruirsi anche un “piano editoriale”, a monitorare l’andamento del mercato di genere, insomma ad essere totalmente proattivi in questa attività.

In fondo, penso, che male c’è? Come tutte le leggi di mercato dove c’è forte richiesta, nasce l’offerta.

Ci stiamo perdendo qualcosa? Difficile dare una risposta che non poggi esageratamente sulle nostre tradizioni, sulla nostra morale, difficile essere imparziali il giusto per esprimere una riflessione equilibrata.

La sola cosa che mi perplime è la ricerca di strade “facili”. Penso a coloro che investono risorse e tempo sui social cercando di farne una professione (diventare “influencer”), senza prima munirsi degli strumenti culturali necessari e non mi rieferisco unicamente a Onlyfans.

La forbice tra le generazioni si evince particolarmente in questo: prima dei millenials si era costretti al lavoro (o intellettuale o fisico) e al sacrificio nella costruzione di una propria identità professionale anche perchè non esistevano queste possibilità alternative.

Ad oggi mi chiedo se siamo noi “anziani” ad avere perso delle occasioni per esprimere e realizzare al meglio noi stessi, oppure sono i giovani che, proiettati molto pesantemente in un mondo estremamente virtuale e non sempre virtuoso, bypassano certe esperienze importanti per la loro evoluzione personale.

In medio stat virtus, la mia risposta.

Pimpra

Un martedì senza empatia, non è mai una buona giornata.

Nella società moderna, così fluida, veloce ed effimera, sono sempre più carenti alcuni tratti fondamentali del vivere collettivo, tra questi cito l’empatia.

EMPATIA= dal greco En, dentro; PATHOS, sentimento.

Stamattina ho accompagnato l’anziana madre a un controllo medico per validare la terapia che sta seguendo da un mese e che le procura qualche fastidio.

Si trattava di una visita “al buio”, nel senso che il medico non sapevamo chi fosse, solo la specialità: neurologo.

La madre, come moltissimi altri pazienti triestini e non, ha perso quel faro di umanità, competenza, disponibilità che era la compianta prof.ssa Rita Moretti e, come molti altri, stiamo cercando di capire come proseguire l’opera iniziata dalla dott.ssa tristemente e improvvisamente deceduta.

Mia madre,

Mia madre, ça va sans dire, non si è occupata del “post Moretti”, non essendo capace di farlo, non fosse per l’età avanzata, sicchè sono stata io a mettermi al telefono per trovare il filo iniziale dell’intricata matassa.

Le telefonate si sono susseguite in una serie di scivolamenti verso il non detto, alla mia domanda “Ma la dott.ssa aveva dei collaborator* fidati?” , nessuno che si fosse sbottonato, la mia non era una richiesta perentoria, solo la ricerca di un suggerimento, un consiglio: “Mettetevi nei miei panni, a chi chiedereste per vostra madre?”. Niente, tutti, dagli infermieri di reparto ai segretari del primario della clinica ospedaliera, abbotonatissimi. Mi suggeriscono di chiedere una visita, cosa che faccio ed eccoci.

Ci accoglie un medico donna, dall’aspetto gentile, il seno florido che rimanda immediatamente alla “madre” archetipale, mi sembra bene. Parte la domanda a bruciapelo a mia madre “Lei perchè è qui?” e lei, ansiosa di prima generazione, perde l’uso della parola e diventa tutta rossa, fin sotto alla mascherina. Faccio per rispondere io, per aiutarla, e perchè la visita di controllo e verifica terapia era un’idea mia ma il medico mi blocca con fare severo.

La madre, sempre più rossa, comincia a biascicare qualcosa, facendo vieppiù innervosire il medico. Al che mi intrometto e spiego la ratio della visita.

Rimprovero n. 2: non dovevamo andare lì, che il farmaco da controllare lo dispensano solo centri specializzati particolari che hanno un registo e che lei non poteva fare nulla.

Mia mamma tramortita. Io, piuttosto imbizzarrita, avrei voluto rispondere per le rime, assecondando il movimento delle mie emozioni, ma sono stata saggia e, invece di inveire contro un simile trattamento, mi sono scusata dicendo che, per chi sta – come noi – dall’altra parte della scrivania, non è affatto scontato trovare i percorsi scorretti perchè non è il nostro mestiere.

La dott.ssa dalle grandissime tette, evidentemente mossa a compassione, depone un poco le armi e afferma che la visita l’avrebbe fatta comunque. Ed è stato così, e pure senza fretta.

I test verbali somministrati a mia madre dalla dottoressa dal corpo accogliente ma dalla parola tagliente, hanno vieppiù accresciuto lo stato di stress, specie alla domanda “Quanto fa 100-7?”: panico, mia mamma paonazza, in difficoltà come un uccellino caduto dal nido, alza la voce e quasi urla “Non lo so!”.

Ero a disagio per lei, perchè i numeri ci sono sempre stati osptili, ma un conto è cercare di gestirli in stato di tranquillità, altro è con lo stress da interrogazione.

Concluso il test verbale e fisico, la neurologa ha stilato un’approfondita anamnesi e ci ha indirizzato nel posto giusto. Amen.

Però così non si fa.

All’uscita la madre era ancora stremata dalla prova, in imbarazzo per la brutta figura (soffre di un serio disturbo della memoria), incavolata per essere stata trattata con “severità”.

Capite quanto sia importante nella vita, specie nelle relazioni, entrare in “vibrazione” con l’altro, percepirne lo stato d’animo, specie se si esercitano professioni che entrano prepotentemente a contatto con le emozioni, i sentimenti dell’altro?

Di sicuro il rispetto dei ruoli, va portato in entrambe le direzioni, non possiamo pretendere empatia se, noi per primi, non la offriamo.

All’uscita dall’ospedale l’ho presa sottobraccio rassicurandola, dai mamma adesso abbiamo capito da chi andare e lei, con gli occhi umidi di commozione, ha risposto “Mi manca la mia Rita, le volevo davvero bene”.

Questo è il lascito che dovremmo essere capaci di scrivere nelle persone che ci hanno conosciuto, indipendentemente da chi siamo, cosa facciamo, solo perchè siamo essere umani evoluti.

Mica facile…

Pimpra

3 GENERAZIONI E TANGO. LA CONVIVENZA CHE CI PIACE

Una volta in più, ce ne fosse mai stato il bisogno, la maratona di tango mi ha insegnato qualcosa. Non penso alle dinamiche evoluzioni dei tangueros, quanto agli altri insegnamenti che ne ho ricavato.

L’ho sicuramente già scritto in passato e lo ripeto oggi: ballare il tango è come rappresentare la vita, nel suo corso, nelle sue dinamiche, nelle sue relazioni. Ed è su questo ultimo aspetto che desidero soffermarmi.

Dopo due anni abbondanti di stop per pandemia, anche quando si poteva ballare con “con attenzione”, non mi sono affacciata alle milonghe, sono finalmente rientrata in pista direttamente in maratona (matta che sono!!!).

Riempiti gli occhi e il cuore di tutte le sfumature di emozioni, di stupore, di curiosità che potevo contenere, ho osservato le dinamiche relazionali perchè percepivo qualcosa di nuovo a cui non sapevo dare voce.

Al secondo giorno di ballo, tanto ballo, tanto bel ballo, ho capito: esiste una “frattura” abbastanza netta tra le generazioni che popolano la pista che, riassumo per brevità, in giovanissima, nuova e vecchia. La prima, arriva fino ai 30 enni, la seconda più o meno dai 30 ai 45, la terza dai 45 in poi.

Fascia 1 e 2 interagiscono discretamente, specie se i soggetti appartengono ai primi anni del secondo gruppo. Le cose diventano molto diverse con gli abitanti del terzo, i 45 enni e oltre, con una spaccatura decisamente evidente dai 50 in su.

Cosa significa?

Mirade che non arrivano o che scivolano via, scelte precise di campo: con la terza fascia no.

Se indossiamo gli occhi di un giovanissimo/a non è difficile immaginare come veda quelli più grandi: assolute mummie, sia in termini fisiologici che tangueri. Possiamo dare loro torto? Non credo, nel senso che anche noi a 20 anni e poco più non andavamo alla ricerca di un abbraccio così maturo, lontano dal nostro universo generazionale. Si sta con coloro che sentiamo “vicini” e, simpatia e bravura a parte, l’età è una discriminante potente.

Speravo in una maggiore democrazia tanguera nella relazione tra seconda e terza fascia, in special modo tra i più “vecchi” della seconda e i più “giovani” della terza. Anche in questo caso sono rimasta sorpresa. Certo l’interazione c’è, è più fitta che tra la prima e la terza, ma con riserve.

Uomini e donne volgono lo sguardo – preferibilmente – ai giovani che rappresentano la novità sia in termini di ballerini/e, sia in termini di “freschezza” fisica. E come fai a non accorgerti della bellezza ingenua e potentissima di un corpo non ancora segnato dal tempo, dell’energia vitale e sessuale che emanano i ragazzi/e? Come fai? La vedono tutti, i coetanei, e quelli più grandi.

Far parte, oramai, della “vecchia guardia” temevo diventasse un problemone difficile da gestire psicologicamente nel senso che a nessuno piace essere trasparente, non essere quello scelto o prescelto, insomma diventare parte della tappezzeria della sala. E sticazzi!

L’insegnamento che ho colto è agire un sano distacco dalle dinamiche che mortificano la propria autostima, le mirade che non vanno a segno non sono un fallimento di tutto, la “Waterloo della tanguera”, nel mio caso, ma semplicemente una delle possibilità che accadono in milonga.

In maratona ho mirato incuriosita dei ballerini che nemmeno se fossi caduta tra le loro braccia, si sarebbero accorti di me, e infatti non si sono accorti di me, allora? dove sta il problema? Ho scambiato altri sguardi andati a segno che mi hanno portato a tandas che mi hanno felicissimamente sorpresa, divertita e fatta emozionare.

Ognuno di noi, se messo nella possibilità e ribadisco “possibilità” di scegliere, lo fa secondo criteri unici, individuali, personalissimi: chi cerca un corrispondente tecnicamente affine, chi predilige la sensualità della persona, chi la simpatia, chi vuole quello/a “famoso/a” ecc ecc. Quindi se, malauguratamente, non siamo destinatari di “attenzioni” leggi mirade, non siamo noi ad essere “sbagliati” in alcun modo, semplicemente non corrispondiamo alla sfera del gusto dell’altro. Facile no?

Nel tango, come nella vita, è chiaro che bisogna viaggiare leggeri, rimanendo fluidi e resilienti. E così, dal nulla, arriva la tanda della serata, quella che aspettavi da anni e oramai non ci speravi più. Invece arriva…

Concludo dicendo che “Fin che c’è vita c’è speranza, fin che c’è il tango, c’è vita” e se in più ci aggiungo un sorriso è tutto ancora più bello!

Pimpra

IMAGE CREDITS MARCO VAGHESTELLE

LA GIAGUARA TORNA IN COLLEGIO

Ho chiuso le mie ferie estive con una bellissima gita a Marina di Massa. Scarpette da tango in borsa, tre amici deliziosi, chiacchiere e allegria.

La prima vera maratona dopo… 3 anni?! Un periodo infinito che ho vissuto in totale “astinenza”.

Ripresentarmi in pista dopo così tanto tempo ha richiesto una dose incredibile di coraggio e faccia tosta. Epperò, mi sono detta, dopo tutti questi anni, qualcosa sarà pure rimasto.

Basta organizzare la mente e il beauty: il mantra interiore ripeteva “Vai e goditela”, il beauty attrezzato con brufen e fiori australiani contro l’ansia. Questo è invecchiare in modo intelligente e furbo, dicevo a me stessa preparando il bagaglio.

Non potevo scegliere evento migliore. La Colegiala è una navicella spaziale che ti proietta nello spazio siderale del piacere e del divertimento. La location nella vecchia colonia della Fiat, in quegli spazi anni 30′ dove sono passate generazioni di ragazzini, la spirale sulla quale si affacciano le camere, spartane come un monastero, ma, alla fine, dotate di ciò che è strettamente necessario, creano un’atmosfera unica.

La proposta della serata a tema, manco a dirlo il sabato, è una provocazione in più per lanciarsi in creative mise che, di solito, in pista, producono un effetto esilarante.

Ho sentito per la prima volta dei Dj che lavorano in tandem. Mi sono chiesta il perchè in coppia rispondendomi che, in questo modo, la pausa pipì non interrompe il flusso musicale. Probabilmente non è la risposta giusta, ma solo il punto di vista da donna che ha più spesso necessità di… “blin blin” 😉

Oltre all’accoglienza calorosa dello staff molto nutrito, che peraltro ho sempre ritrovato in ogni edizione, sono stata letteralmente abbracciata dalla straordinaria energia positiva dei partecipanti.

Ho incontrato persone che vedevo solo nei pixel virtuali del pc, ho rivisto amici che, nel frattempo, hanno allargato la famiglia, è stato un tripudio di sorrisi e di abbracci.

La buena onda alla Colegiala, nasce già fuori dalla pista, in questa vibrante allegria che i padroni di casa spruzzano nell’aria, i ferormoni della felicità.

In tutto questo, il mio tango arrugginito, dal sapore “vintage”, si è riaffacciato alla pista risalendo verso il cuore, emozionandomi, divertendomi, lasciandomi sorpresa, dando una sferzata di Vita a tutta me, facendomi sudare (di più) per l’emozione, facendomi (ri)sentire fibre del corpo di cui non ricordavo l’esistenza.

La magia era tutta lì, davanti ai miei occhi e non me la sono lasciata sfuggire.

(Felice me).

Pimpra

AMORI IMPERFETTI

Ci sono volte in cui ho scritto post che mi piacciono ancora. Questo.

PIMPRA

BEHIND

Quando, se non d’estate, l’amore si presenta mostrando le sue innumerevoli sfaccettature, a dirci di prenderlo, se ne siamo capaci…

L’estate… l’avessimo vista in questo strano anno “tiepido”, strabagnato di pioggia e, quindi, un po’ melanconico per definizione… ma, tant’è.

L’amore. Si è incupito pure lui? Ha perso smalto acquerellando le sue sfumature porno soft da ombrellone? Stemperato le passioni brucianti?

Dov’è Amore?

Me lo chiedo perchè, di qua e di là dal mio sguardo, mi giungono voci di storie che finiscono, di amori che si perdono, si rompono, non lasciano traccia di sè.

Proprio ieri ho notzia di una coppia che non è più tale, con mia grandissima sorpresa.

Amore che sembrava “perfetto”, da manuale della nonna papera, un lui “perfettamente” innamorato, preso, raccolto tutto intorno alla sua donna. Coccolata, vezzeggiata, protetta, amata, onorata.

Forse troppo. Troppo zucchero, troppo dolcificante in un rapporto che, alla fine, ha fatto cariare…

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UN TUFFO CON NEMO

Luoghi desertici erano già nei miei occhi e nelle mie narici, il pianoro dell’Iran, l’Africa settentrionale ma il Sinai è stata la mia prima volta.

Un viaggio verso il basso, in tutti i sensi, direzione sud e sotto l’acqua.

Fortunatamente gli amici mi avevano messa in guardia: Sharm El Sheikh esiste solo per fare le immersioni. Il messaggio era chiaro: luogo completamente turistico e vabbè, ma ero certa che qualcosa di locale, di tipico, l’avrei trovato. Invece no.

Scesa dall’aeromobile attendevo di percepire il “profumo del luogo”: nulla. Niente che scrivesse le mappe degli odori dei paesi visitati, probabilmente il clima torrido, secco e ventilato, elimina qualsiasi traccia.

L’areoporto dista pochi KM dalla zona urbana che si sviluppa a margine di lunghe strade, case, complessi alberghieri, ogni costruzione è bassa, di forma semplice, con piccoli guizzi orientaleggianti, come alle finestre. Il bianco domina, così come un bel ocra aranciato della sabbia terrosa della superficie che fa da contrappunto al nero pece dell’asfalto.

Il primo tuffo è stato esaltante. Immergersi in un acquario, dai mille pesci colorati, dai coralli di forme e dimensioni incredibili. Il mare, dopo la barriera, si inabissa velocemente, provocando, a volte, la sensazione di vertigine che svanisce immediatamente lo sguardo rapito da un colore, da una forma, da un pesce particolare.

Lo squalo aveva altro da fare, per mia fortuna, così pure il pesce balestra che pare essere molto aggressivo se gli invadi il territorio mentre si prende cura delle uova. Per il resto ho salutato Nemo, nuotato con deliziosi banchi di pesci a righe, pesci dalla livrea di un azzurro elettrico, ho pinneggiato con maestosi napoleone, ho dimenticato perfino che stavo in acqua.

Il mar Rosso è salatissimo, le mie povere ascelle lo dimostrano con la pelle talmente tanto secca da squamarsi vistosamente.

I lampioni delle strade sono alimentati ad energia solare, che pare un’evidenza lapalissiana, peccato che la sabbia del deserto circostante sporchi gli specchi e la manutenzione della pulizia sia troppo costosa, sicchè spesso restano spenti.

Un discorso a parte merita la popolazione locale. Gli egiziani o, comunque, i medio orientali, sono diversi dagli “arabi” che ricordavo. Ho visto ragazzi e ragazze molto belli, dai fisici asciutti, contrariamente a quanto ricordavo di quelle popolazioni.

Le donne, se di fede musulmana, sono costrette ad indossare improbabili “costumi” che le coprono – letteralmente – da capo a piedi, capelli compresi ma le poverine, non indossano seducenti tute aderenti alla cat woman, per intenderci, bensì palandrane nere di lycra che sotto quel sole cocente con una media di 35° all’ombra ve li raccomando. Eppure, a guardarle, sono come delle principesse: il volto truccato, le sopracciglia sempre ben definite, occhi penetranti, labbra carminio. Tutto ciò che non può essere svelato, ma solo immaginato del loro corpo e della loro bellezza, esce sul volto.

I bambini, quanti ne ho visti! Amatissimi dalla popolazione, rispettati, vezzeggiati. Le famiglie ne hanno in media 3, di solito in scala ravvicinata.

I venditori. Sono sopravvissuta agli attacchi seriali dei venditori della qualunque che, con la tecnica dell’esasperazione, alla fine escono vincitori nel duello con il potenziale cliente.

La parola magica che ti rivolgono sempre è “no stress” salvo poi iniziare immediatamente l’assedio a suon di parole per convincerti a comprare qualcosa.

Sono bravi con le lingue. Il russo impera, esageratamente, anche sulle insegne dei negozi e sui cartellini delle merci solo che, di questi bui tempi, di russi colà se ne sono visti ben pochi, e lo scettro dei turisti presenti è tornato in mani italiane.

Ho mangiato il migliore melone di sempre e sguazzato nella gelatina di frutta che mi ha riportato agli anni verdissimi dell’infanzia.

Come ogni turista che visita l’Egitto il pegno in diarrea è una moneta che tocca pagare. Per fortuna mi sono organizzata, potendo gestire in tempi velocissimi e con minimi effetti collaterali, il “marchio del faraone”.

Per i nordici il fattore protezione solare 50 è obbligatorio. Sono riuscita comunque a prendere un’insolazione sulla schiena e rientrare dalle ferie colorata come un latte macchiato, praticamente pallida come sempre. Ma è stato bello provarci, molto bello!

Ci tornerei?

Di sicuro, magari in una zona meno turistica, se esiste!, ma con l’obiettivo di fare le immersioni e fotografare quel paradiso di fondali.

Pimpra

PROFUMO DI TIGLI, PROFUMO D’AMORE

Il profumo dei tigli in fiore mi accoglie nei diversi passaggi cittadini che da casa mi portano in centro, segnando senza dubbio l’arrivo dell’estate.

Il mio naso si perde nel loro aroma dolciastro come fossi un insetto alla ricerca del miglior nettare, mi inebria profondamente mettendomi in una dimensione dello spirito che può variare dalla pura estasi olfattiva, proiettandomi in un salto nella macchina del tempo alle estati della fanciullezza, o, semplicemente, mi rallegra facendomi sorridere.

La fioritura dei tigli dura solo qualche settimana. Quando inizia la fase più matura e si intravvedono dei piccoli bozzoli forieri di semi futuri, mi risveglio dal mio sonno profumato rendendomi conto che l’estate è già qui e con essa le imminenti vacanze, il mare aspetta. Il costume pure.

Faccio i conti con la trascendente mutevolezza della Natura e con l’incessante fluire del Tempo.

Negli alberi gli anni si leggono nei cerchi concentrici che si creano nel loro tronco, per me è lo stesso anche se l’anno in più si posiziona, a seconda, in diversi punti del corpo.

Una volta è la spalla destra, il collo, il ginocchio e mi accorgo di non riuscire a leggere le etichette senza aiuto e così via, una serie di modifiche sostanziali della forma che segnano indelebilmente anche la sostanza.

Non è sempre una passeggiata di salute accettare mentalmente di essere in grado di fare la spaccata frontale ma non potersi godere una corsetta balsamica, piuttosto che una camminata vivacissima perchè il bastardissimo il nervo sciatico al momento lo impedisce.

Un corollario di piccoli fastidi che scoprono come una matrioska il degrado del corpo mettendo a nudo l’anima, basita, che deve prenderne atto.

Accanto a questo fastidio concettuale rappresentato dall’invecchiamento si svela al contempo un interessante risvolto della medaglia: la resilienza cementata a saggezza che, in realtà, permette agevolmente di superare gli ostacoli.

Si tratta di spostare semplicemente la lancetta su uno stato di maggiore e perdurante equilibrio, tra ciò che si fa e ciò che si pensa e, soprattutto, si impara a pensarsi bene, si apprende a volersi bene, ad apprezzarsi per ciò che si è diventati.

Forte dei miei pensieri positivi, m’incamminavo a fare delle commissioni gestendo l’acido lattico dell’allenamento del giorno prima, sorridendo ad ogni passo quando le fibre di qua e di là, in alto e in basso si lamentavano per qualcosa. Il corpo urla la sua esistenza, obbligandoci a tenerne conto, a curarlo, a proteggerlo come nessuno mai.

Diventare grandi, in fondo, ci costringe alla più grande dimostrazione d’amore, quella che dobbiamo a noi stessi.

A ben pensarci, non è affatto male.

Pimpra

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TANGO POST COVID . NE PARLIAMO CON MARIA ELENA CAPORALETTI

Dopo due anni e più di delirio, in cui la comunità tanguera è stata costretta ad attaccare le scarpette al chiodo, torniamo finalmente a respirare. Le milonghe sono aperte e con esse il circuito mondiale degli eventi di tango.

Ma questo periodo incredibile che abbiamo da poco buttato dietro alle spalle, è scivolato via senza lasciare segni? Siamo sempre gli stessi tangueri? Il significato e l’approccio alla milonga, all’abbraccio sono cambiati?

Lo abbiamo chiesto alla globetrotter tanguera per eccellenza, Maria Elena Caporaletti che, credo, sia una delle ballerine italiane più conosciute all’estero, per le sue indiscusse qualità di tanguera e per la valigia sempre pronta a partire per ballare in tutto il vecchio continente. E, per non farsi mancare nulla, è parte attiva del team che organizza la favolosa maratona milanese Pensalobien Tango Marathon.

Dopo due anni di stop forzato, come è stato tornare in milonga?

Tremendo e bellissimo allo stesso tempo. Il primo pensiero appena entrata in milonga è stato “cosa ci faccio io qui?” trovarsi in un luogo affollato, abbracciare di nuovo un estraneo senza paura, lasciarsi andare ….erano azioni cancellate dal file del mio cervello. Poi il corpo, a poco a poco, ha ritrovato se stesso: i piedi hanno cominciato a muoversi secondo passi conosciuti, il corpo ha ritrovato  antichi  movimenti e l’anima ha ricominciato a sentire!  tutto è stato di nuovo bellissimo…e come ai vecchi tempi ho fatto chiusura!!

Nella tua doppia veste di ballerina e di organizzatrice di maratona, percepisci un “prima” e un “dopo” pandemia nel modo di vivere il tango?

Come ballerina, a parte avere due anni in più nelle gambe (che non aiuta ) direi non molto. Sono più “matura” e il tango europeo è sempre più giovane. Bene per il tango un po’ meno per me….. 🙂 però la maturità ha portato anche un nuovo rapporto con il ballo: meno tande, più qualità e  senza fretta.  Come organizzatrice rimettere in moto la nostra PTM ad esempio è stata una fatica: le nuove norme ci hanno costretto a cercare una nuova location mentre vaccino e guerra hanno bloccato molti ballerini provenienti dall’est. Inoltre c’è ancora una paura diffusa del virus: molti ancora non se la sentono di ricominciare ….o semplicemente hanno coltivato nuovi interessi che hanno sostituito il tango. Direi che noto più una differenza nelle milonghe regolari che non negli eventi: con grande dispiacere molte milonghe  oggi sopravvivono a malapena e molte serate vanno deserte. Un peccato: personalmente amo le milonghe e, pur andando spesso in maratona, cerco di non mancare mai agli appuntamenti locali. 

Nel 2022 si balla in modo diverso dal pre pandemia? Qualcosa nell’anima del tango, è cambiata nell’ultimo periodo?

Modalità e paradigmi non sono cambiati. Alcuni eventi si sono ritrovati un po’ meno affollati e glamour rispetto a prima,  mentre nuovi eventi sono nati e hanno subito avuto un grande successo. Come dicevo prima il tango europeo ha nuovi protagonisti sia in termini di ballerini che di paesi.  La Polonia (Varsavia e Cracovia in primis) direi che è senza dubbio  il nuovo “centro europeo” del tango.

La pandemia ha forzato a riscrivere certi paradigmi nell’organizzazione degli eventi di tango, e non mi riferisco alle regole tout court richieste dal Ministero della salute, o nulla è cambiato nella sostanza? Continueranno a (ri)fiorire eventi finalizzati unicamente far fondo cassa o vi è una nuova consapevolezza nelle scelte della comunità di tangueros?

Come prima Continuano ad esserci entrambe le tipologie: eventi per fare cassa ed eventi di qualità. Tutto dipende dagli organizzatori, da cosa vogliono per il loro evento. Organizzare un evento spesso rispecchia l’anima tanghera di chi lo organizza. Come sempre tutto dipende da noi. Cosa ci piace di più? Cosa scegliamo? A parte forse i primi mesi della riapertura al ballo dove “andiamo dove andiamo basta ballare” oggi gli eventi sono tornati numerosi come in pre-pandemia. Quindi …torniamo a scegliere. Cosa vogliamo per il nostro tango?

Secondo te è rimasta una vena sottile di timore, quell’istintivo ritirarsi dall’abbraccio? O il potere trascendente del tango supera ogni barriera?

Vedo ancora qualcuno ballare con la mascherina però balla…..Mah, direi che se ti trovi  in milonga vuol dire che non ci pensi più…

Se ti fosse permesso esprimere un “desiderio tanguero” cosa chiederesti?

Uno? Oddio ne ho tantissimi ….quanto tempo hai? Alcuni sono già andati delusi… altri sono troppo “intimi” per essere espressi. Se proprio devo……Auguro al “mio tango” una lunga vita e alle milonghe locali di tornare piene.

Ringrazio Maria Elena “MEC” Caporaletti per aver partecipato all’intervista!

Per contattare Maria Elena Caporaletti

Pimpra

FOTOGRAFARE IL TANGO. RADU TANASESCU

Chi come me, frequenta da lungo tempo le piste della milonga, non può non aver incontrato Radu con la sua macchina fotografica mentre, felpato come un felino in azione notturna, inizia a scattare. E dire che Radu è grande e non si può non notarlo, eppure, quando non balla e tu sai che fotografa, ti piace passargli davanti, magari è il tuo giorno fortunato e diventi una foto pure tu e il/la partner di quella tanda.

Le foto di Radu mi sono sempre piaciute assai perchè lui ama lavorare in bianco e nero e i suoi lavori hanno la sua indiscutibile firma. Ne escono sempre immagini potenti, che ti si fermano negli occhi, sono fotografie materiche, che fissano lo sguardo scolpendo nei ricordi, l’attimo.

Godiamoci l’intervista a Radu Tanasescu.

  1. Fotografo e tanguero. Il tuo tango, il tuo personale modo di viverlo in pista influenza le foto che fai?

Sicuramente sì. Conoscere a fondo le dinamiche del ballo e della pista mi aiuta ad immaginare ed anticipare alcuni istanti altrimenti difficili da cogliere.

2. Cosa arriva nell’obiettivo della tua macchina fotografica mentre scruti la pista durante la milonga? Quale scintilla ti spinge a fermare l’attimo?

Nell’obiettivo della macchina arriva il “viaggio” di singoli e coppie racchiuso in quel particolare brano musicale. Può essere uno sguardo, una particolare espressione del viso, un atteggiamento interessante oppure una determinata forma corporale, il tutto sotto la luce del momento e del luogo. Lo scatto è sempre una miscela tra ciò che vedo, ciò che immagino e le sensazioni che ne scaturiscono in quell’istante.

3. Secondo te, il fatto che ci siano oramai molti fotografi intorno alla pista, influenzano i tangueros? Se sì in che modo?

Credo che qualsiasi cosa estranea al ballo in milonga sia più o meno fastidiosa per chi balla. Il tango è, dopo tutto, una danza molto intima. Chi balla tende ad evitare i punti di luce forte e, di conseguenza, i fotografi. Per fortuna, quando la pista è piena, non si può fare a meno di passare davanti all’obiettivo.

4. Quanto influenza la riuscita di un evento, il suo buon nome, la presenza di un fotografo capace di cogliere le sfumature del tango?

Onestamente, penso che sia uno degli ultimi aspetti presi in considerazione dai partecipanti ad un evento. Ci sono molti altri aspetti che vengono valutati con molta attenzione prima di decidere l’iscrizione. Il lavoro di un fotografo è utile soprattutto per gli organizzatori, fornisce loro uno strumento in più per promuovere gli eventi.

5. Cosa ti piacerebbe fotografare che non hai ancora potuto fissare in una immagine?

Mi piacerebbe cogliere di più le forme delle coppie in movimento. Questo perché in una normale milonga, di solito, gli spazi sono contingentati, pertanto la fotografia finisce quasi sempre per esprimere dei ritratti abbastanza ravvicinati.

6. Quale è la foto a cui sei più legato e perché.

Difficilmente torno a guardare le mie foto e quando lo faccio ricordo con piacere i relativi contesti, quindi non ne ho di preferite in senso stretto. Sono contento se la gente si (ri)scopre e si piace in qualcuno dei miei scatti.

Per contattare Radu:

email: radugt@gmail.com

fb: Radu Tangodj Tanasescu

instagram: Radugt

twitter: Radugt

Website: lefotodiradu

Ringrazio molto Radu di aver partecipato all’intervista con l’artista!

Pimpra

FOTOGRAFARE IL TANGO. LUDOVICA PALOMA

IMAGE CREDIT LUDOVICA PALOMA

Ho conosciuto Ludovica Paloma attravero i suoi suggestivi scatti di Venezia. La città lagunare, direte voi, è esercizio facile, è bella in ogni istante, in ogni anfratto della sua esistenza. E’ proprio in questa bellezza così irreale da poter diventare scontata che le immagini di Paloma hanno fermato il mio sguardo, proponendo una lettura a volte musicale, a volte acquerellata, quando non direttamente cesellata della città.

E un giorno la incontro in milonga, in una posizione alquanto curiosa per una elegante e raffinata signora quale è, mentre coglie l’attimo che desidera fissare. E’ attrazione per me irresistibile, così come le foto che ci regala.

Godiamoci quindi l’intervista a Ludovica Paloma.

  • Fotografa e tanguera. Il tuo tango, il tuo personale modo di viverlo in pista influenza le foto che fai?

Se fossi stata invitata in milonga senza ballare il tango sicuramente le mie foto sarebbero state diverse. Avrei forse cercato il lato romantico dato dall’abbraccio di una donna ed un uomo. Negli scatti cerco sempre di catturare un movimento particolare delle mani, delle dita, degli incroci che formano le braccia, una postura eretta, gambe ben stese, pieghe di vestiti.

  • Cosa arriva nell’obbiettivo della tua macchina fotografica mentre scruti la pista durante la milonga? Quale scintilla ti spinge a fermare l’attimo?

Prima di scattare creo il vuoto intorno a me cercando di entrare in contatto con la mia intelligenza spirituale (ps ognuno di noi ce l’ha) e quando sento la vibrazione mi lascio guidare e scatto. Non esiste giusto o sbagliato è una sottile energia che sussurra: ora!

  • Quanto influenza la riuscita di un evento, il suo buon nome, la presenza di un fotografo capace di cogliere le sfumature del tango?

I social utilizzano l’immagine come principale mezzo espressivo. L’immagine è tutto su Fb ed instagram. Il mondo del tango oggi abbonda di persone che vengono chiamate ufficialmente a documentare la serata e partecipanti che scattano. Chi viene chiamato a fotografare il tango non scatta solo il tango, scatta il movimento, il ritratto, la street, il tutto concentrato nelle foto di tango. Se si sottovaluta la qualità di un’immagine si rischia di trovare foto sfocate, piste mezze vuote (perché c’è una cortina musicale o la gente sta iniziando a mirare) che non giovano alla resa dell’evento. La gente, dopo un evento torna a casa e ha voglia di avere dei piccoli souvenirs e quando vede una bella foto la condivide. Nel condividere la propria immagine in quell’evento si condivide l’evento stesso e tutti gli amici vedranno a quale evento l’amico ha partecipato.  Quindi sì, è importante la foto soprattutto se gli organizzatori la vogliono usare come strumento di marketing e va usata con consapevolezza.

  • Fotografare il tango a colori o in bianco e nero (BN)? Quanto la fotografia di tango è capace di creare un nuovo racconto rispetto a ciò che accade in pista?

Ci sono periodi della mia vita in cui ho bisogno del colore. Se potessi riempirei una piscina con tutti i colori dell’arcobaleno e mi ci tufferei. Il mondo, quando ho questa fase, ha colori e colori molto saturi. Quando cerco la poesia vedo il mondo in BN. Ci sono immagini che nella mia mente sono concepite già in BN, non devo rivederle e decidere cosa fare.

In milonga l’intensità della luce contribuisce a creare assieme ai colori degli effetti caravaggeschi incredibili.

Il rovescio della medaglia sono volti marcati con occhiaie enfatizzate che stravolgono quasi deformandone, a volte, l’espressione, e capelli scompigliati.

Il sudore ed il viso arrossato per l’intensità della tanda crea qualche perplessità a chi è abituato a farsi i selfie perfetti stile influencer.

Il bianco e nero oltre a romanzare l’immagine è magnanimo coi volti e con un’illuminazione complessa è preferibile.

Nel macrocosmo della milonga esistono tanti microcosmi quante sono le coppie che si son formate in pista quella sera. Ogni foto è una micronarrazione, svela un istante che altri hanno perso perché erano intenti a ballare.

Ogni album è una matriosca che contiene svariate narrazioni sempre diverse ma tenute assieme dal fil rouge della musica.

  • Cosa ti piacerebbe fotografare che non hai ancora potuto fissare in una immagine?

Non mi costruisco un’immagine in testa, mi affido sempre alla realtà, perché la realtà ha il potere di stupirmi sempre più di qualsiasi immagine immaginata.

  • Quale è la foto a cui sei più legata e perché.

Ho scelto questa foto perché rappresenta la fase embrionale del mio minimalismo.  Quando questa coppia di ballerini mi è passata davanti non avevo dubbi su cosa avrei “tirato fuori”.  A volte si sente l’esigenza di raccontare una storia senza protagonisti principali, creare un contenuto con un metalinguaggio che viene decodificato immediatamente da chi condivide la tua stessa esperienza: ballare.

Per contattare Ludovica Paloma

FB Ludovica Paloma 

Instagram Ludovica Paloma

Pagina Fb Ludovica Paloma a picture teller 

Ringrazio Ludovica Paloma per avere accettato l’invito alla SIX.Q intervista con l’artista.

Pimpra

FOTOGRAFARE IL TANGO. NORA BRAMBILLA

image credit Nora Brambilla

Ogni anima danzante lo sa, l’immagine coglie l’attimo, definisce uno stato d’animo, esalta un’atmosfera, legge la vibrazione di luce e suoni. Il tanguero e il fotografo sono diventati un binomio imprescindibile della milonga e per questo ho scelto di chiedere ad alcuni amici fotografi, un loro punto di vista.

Inizio la carrellata con Nora Brambilla, milanese, tanguera e fotografa. Ho avuto il piacere di conoscerla qualche anno addietro, ho percepito immediatamente la sua verve, il candido fervore della sua danza, l’entusiasmo. Ho scoperto solo successivamente le sue foto e ne sono rimasta colpita, decidendo di iniziare da lei questo viaggio nelle immagini del tango carpite nella penombra di una sala, dentro l’intimità di un abbraccio.

  1. Fotografa e tanguera. Il tuo tango, il tuo personale modo di viverlo in pista influenza le foto che fai?

Certamente si! Oltre ad un occhio puramente tecnico, ovvero; così come non mi piacerebbe essere “colta in fallo” in una cattiva posizione evito a mia volta di pubblicare foto che non mi soddisfano dal punto di vista di postura, e piacevolezza dell’abbraccio. Per me, un ricordo di quel dato momento in pista deve sempre essere un complimento ai soggetti che ritraggo.  Poi più personale è quello che per me dovrebbe essere il tango, si capisce subito guardando le mie foto che cerco connessione, dialogo, gioia di condividere la musica, una delle mie citazioni preferite sul tango è: “Lui suona la nostra musica ed io ci canto sopra” non certo quella sul pensiero triste che si balla.

2. Cosa arriva nell’obbiettivo della tua macchina fotografica mentre scruti la pista durante la milonga? Quale scintilla ti spinge a fermare l’attimo?

Ciò che attrae come una calamita il mio obbiettivo è un bel sorriso spontaneo durante il ballo; poi i fattori sono gli stessi della vita di tutti i giorni; perché noti più una persona di un’altra? Cosa mi spinge ad inseguire più una coppia rispetto ad un’altra? Credo che la parte del leone la faccia sempre quell’aura di piacevolezza che da dietro il mio obbiettivo percepisco. Ho avuto più volte conferma di questo quando, soprattutto delle dame, mi hanno detto in privato, grazie per quello scatto, è stata la tanda più bella della serata. E a questo aggiungo quello che io chiamo il “guizzo” che sia un dettaglio nell’abito o un gesto nel ballo  un modo di interpretare l’abbraccio che devo assolutamente catturare.

3. Secondo te, il fatto che ci siano oramai molti fotografi intorno alla pista, influenzano i tangueros? Se sì in che modo?

In effetti sì, può succedere che delle coppie siano attratte o disturbate dalla presenza dei fotografi. Dal mio canto se vedo uno sguardo di disapprovazione, o per lo meno, che a me pare tale, distolgo l’obbiettivo; e qui ecco che la tanguera e la fotografa convergono. Nulla di diverso dal mio punto di vista dal concetto di mirada; se miro un cavaliere che  non gradisce le mie attenzioni distolgo lo sguardo e passo oltre, lo stesso se impugno una macchina fotografica; al contrario se c’è dell’interesse cerco nel limite del possibile di non disturbare il loro ballo e di coglierli in un momento di spontaneità.

4. Quanto influenza la riuscita di un evento, il suo buon nome, la presenza di un fotografo capace di cogliere le sfumature del tango?

Forse sono di parte, ma dal punto di vista della promozione dell’evento (per lo meno dell’edizione che seguirà) un buon fotografo può fare la differenza. Saper “raccontare” la storia di quell’evento credo possa essere importante per chi deciderà di parteciparvi.  Per la riuscita dell’evento in sé, non saprei, io personalmente se scelgo un evento rispetto ad un altro è per l’atmosfera che penso di trovare, per gli abbracci che avrò il piacere di vivere; abbracci però che se immortalati sarò felice di conservare. Quindi qual è la risposta? 🙂

5. Cosa ti piacerebbe fotografare che non hai ancora potuto fissare in un’immagine?

La foto perfetta non credo esista, sono una “neo” fotografa di tango e fotografa da che ho memoria ma la storia è sempre la stessa, la foto che vorrei aver scattato è sempre quella che non sono riuscita a scattare.  Nel tango ci sono artisti che ammiro particolarmente e che “da grande” mi piacerebbe ritrarre così come assoluti sconosciuti che ballando in pista mi hanno incantato al punto da non scattare alcuna foto, era troppo bello viverli.

6. Quale è la foto a cui sei più legata e perché.

Domanda difficilissima, se ci ragiono non trovo una risposta adeguata, ti faccio vedere la prima che mi è venuta in mente leggendo la tua domanda perchè forse ha segnato un cambio nel mio modo di voler fare foto in milonga, sono passata dal fare ritratti al cercare di raccontare una storia.

Ringrazio Nora Brambilla per aver partecipato alla Six.Q intervista con l’artista, spero di incrociarti prossimamente in milonga e – chissà- di ispirare uno dei tuoi bellissimi scatti.

Nora Brambilla self portrait

Per contattare Nora Brambilla

FB: Nora Brambilla

Instagram: lagattachescatta

ANCHE IL TACCO FA LA TANGUERA

Sto per scrivere un concetto che sicuramente cozza con quanto espresso tempo addietro, mi prendo il sacrosanto diritto di cambiare idea ma, preciso, mi piacerebbe avere uno scambio di opinione con altre donne.

Ho visto ballare il tango da tangueras in infradito, scarpe da ginnastica, scarpettine da jazz, salva piedi insomma senza indossare le tradizionali calzature con il tacco e il loro tango poteva esprimersi come se nulla fosse. Fluido dalla terra al cielo, sgorgare nel loro abbraccio, risplendere nel volto.

Anche a me è capitato di darmi a pazze danze indossando inappropriate sneakers, quando non sono stati addirittura gli anfibi, l’ho fatto, ma si trattava di puri attimi di follia o di necessità mediche.

Mi sto convincendo che la tanguera è anche i tacchi che indossa.

Quasi tutte le balleirne in erba, una volta scoperti i meravigliosi sandali dall’altissimo stiletto, sono cadute nella trappola di volerli indossare come a sancire con la loro altezza l’ingresso nel mondo della milonga. Ex (danzatrici) classiche a parte, dotate del famoso “collo del piede” formato dalla durissima disciplina, per la quasi totalità della platea di praticanti la nuova arte, i tacchi altissimi sono stati una vera e propria tortura, salvo casi rarissimi, conducendo le addette a notevole sofferenza fisica delle estremità.

Studiando e crescendo nel tango, ognuna di noi ha saputo fare i conti con i suoi limiti adattando il tacco alla ballerina e non il contrario. Aggiungo: meno male. Meno armadi appesi alle braccia del povero leader, maggiore dinamica, equilibrio e asse mantenuti con più costanza.

Ma il punto della questione non è questo.

Il tacco per la tanguera è il catalizzatore della sua “giaguara” interiore, dentro e fuori dalla pista. Essere oramai capaci di portare i tacchi e camminarci veloci, come si trattasse di indossare sneakers, perchè il corpo ha appreso l’arte di cercare il suo asse anche quando la superficie d’appoggio è più ridotta, rende la donna più sicura di sè, più elegante nell’incedere, più sexy se lo desidera.

Fate questa prova, amiche tanguere, nel corso della vostra giornata, passate da scarpe basse a un paio con il tacco e poi mi raccontate come vi sentite cambiare dentro, come se quella donna sempre presa da millemila cose da fare, pensare, organizzare, ad un tratto si fermasse mostrando attenzione a se stessa.

Un vero miracolo, una dedica d’amore rivolta a noi stesse.

E’ primavera, il cambio di stagione degli armadi è imminente, il cambio di attitudine mentale è atto dovuto: apriamo le porte a tutte le sfumature possibili delle donne che sappiamo di essere.

Buon divertimento a tutte!

Pimpra

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